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Risparmiare sulla bolletta della luce è possibile grazie alle comunità energetiche!

I prezzi delle bollette sono saliti alle stelle? Scopri come risparmiare sulla bolletta della luce grazie alle comunità energetiche!

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Quello che gli italiani si apprestano a vivere sarà un inverno particolarmente duro e non solamente da un punto di vista climatico. I prossimi mesi non saranno infatti particolarmente felici per le nostre tasche.

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia infatti il prezzo del gas è salito enormemente e di conseguenza anche quello dell’energia elettrica visto che parte di essa viene prodotta grazie al metano. Il risultato è che le bollette della luce di imprenditori e famiglie sono aumentate anche più del doppio rispetto solamente a qualche mese fa. Un’aumento quest’ultimo che rischia di mettere in ginocchio le famiglie italiane che avranno sempre più difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma non solo. A ben vedere, la situazione più grave è quella delle imprese. Per quest’ultime, sostenere i costi energetici potrebbe diventare, anzi già lo è, insostenibile. La loro attività produttiva è infatti fortemente compromessa, tanto che potrebbe non produrre più utili, ma anzi provocare perdite. In molte sono infatti le aziende a dover chiudere per evitare di aggravare ulteriormente la loro posizione economica.

Ma c’è un modo per risparmiare sulle bollette della luce in maniera efficace e durevole nel tempo?

Un metodo ci sarebbe, quello delle comunità energetiche rinnovabili. Una soluzione particolarmente interessante dal momento che implementarle significherebbe ripensare a tutto il sistema di produzione e di distribuzione dell’energia. Attraverso le comunità energetiche rinnovabili si riuscirebbe a costruire un nuovo o modello di organizzazione sociale basato sulla produzione e sul consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili. In questo modo, oltre a far risparmiare sulle bollette della luce imprenditori e famiglie, si riuscirebbe anche ad intraprendere quel percorso di transizione ecologica tutelando l’ambiente ed abbattendo le emissioni di gas serra al tempo stesso.

Ma perché le comunità energetiche riuscirebbero a farti risparmiare sulle bollette della luce? Abbiamo cercato di fare il punto della situazione qui di seguito insieme ai nostri esperti.

Che cos’è una comunità energetica

Una comunità energetica è un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali o piccole e medie imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di uno o più impianti di produzione energia da fonti rinnovabili (fotovoltaico). La novità sta nel fatto che l’energia prodotta da questi impianti F.E.R. potrà essere condivisa tra i membri della comunità favorendone l’autoconsumo. 

Come puoi facilmente dedurre, uno dei valori alla base delle C.E.R. è la lotta allo spreco energetico tramite la condivisione dell’energia elettrica, un bene che a tutti gli effetti rientra tra quelli fondamentali. La condivisione dell’energia prodotta dagli impianti F.E.R. avverrà ad un prezzo concorrenziale e vantaggioso per tutti i membri della comunità. L’obiettivo delle Comunità Energetiche è quindi quello di favorire un pieno autoconsumo dell’energia prodotta tramite uno scambio della stessa fra i membri della comunità in un’ottica di collaborazione fra i vari membri.

Ed è proprio un pieno autonconsumo, raggiunto tramite lo scambio di energia, la chiave di volta per risparmiare sulle bollette della luce (per approfondire leggi qui). Ma non solo. Perseguendo questo obiettivo inevitabilmente si andrebbe anche a modificare sostanzialmente l’architettura del sistema di produzione e distribuzione dell’energia.

In cosa consiste l’autoconsumo

Il concetto di autoconsumo prevede la possibilità di consumare in loco l’energia elettrica prodotta in loco da un impianto a fonti rinnovabili come quello fotovoltaico. L’autoconsumo è totale quando il possessore dell’impianto o i membri di una comunità energica riescono a consumare tutta l’energia prodotta da questo impianto. Ciò implica diverse conseguenze.

La prima è che con le comunità energetiche è possibile risparmiare sulle bollette della luce. Se per il tuo fabbisogno energetico utilizzerai tutta l’energia prodotta dall’impianto a fonti rinnovabili non avrai bisogno di prelevare energia dalla rete elettrica nazionale. In sostanza non dovrai pagare le bollette della luce se non consumi la corrente fornita dai classici distributori di energia i cui prezzi stanno aumentando sempre di più.

La seconda conseguenza è quella che consumando in loco l’energia prodotta dal tuo impianto, si rivoluziona anche il concetto di rete di distribuzione dell’energia. I membri di una comunità energetica diventano dei veri e propri prosumer perché sono a tutti gli effetti dei protagonisti attivi nella gestione dei flussi energetici. Ciò significa che un membro della comunità può al tempo stesso essere sia consumatore che produttore di energia, con i conseguenti vantaggi economici che ne derivano. Infatti, chi possiede un impianto di produzione energetica, consuma ciò di cui ha bisogno e immette nella rete locale l’energia in esubero scambiandola con gli altri membri della rete o immagazzinarla grazie a impianti di accumulo e restituirla solo nel momento del bisogno. Se questa energia dovesse ancora avanzare, verrà ceduta alla rete elettrica nazionale ulteriori vantaggi economici facendoti risparmiare sulle bollette della luce ancora di più.

Se è vero quindi che grazie alle comunità energetiche è possibile risparmiare sulle bollette della luce è altrettanto vero che la rete di distribuzione dell’energia potrebbe cambiare profondamente. Non più una logica di distribuzione “uno a molti” ma una nuova distribuzioni “molti a molti”. Un po’ come avviene oggi nella comunicazione digitale “peer to peer”.

Come creare una comunità energetica per risparmiare sulla bolletta della luce

I livelli di autoconsumo di energia che si possono realizzare, secondo la legge italiana, sono essenzialmente tre, i seguenti:

  • Individuale: in questo caso il cittadino possiede un impianto di produzione di energia rinnovabile e consuma quella che produce.
  • Collettivo: l’autoconsumo collettivo è caratterizzato da una pluralità di consumatori che risiedono all’interno di uno stesso edificio in cui sono presenti uno o più impianti alimentati in maniera esclusiva da fonti rinnovabili. Gli impianti possono essere anche di soggetti terzi e beneficiano di alcuni benefici come ad esempio le detrazioni fiscali.
  • Comunità: i soggetti che partecipano alla comunità devono produrre energia destinata al proprio consumo grazie all’utilizzo di impianti che sfruttano le energie rinnovabili. Gli utenti, per condividere l’energia prodotta, possono utilizzare le reti di distribuzione già esistenti o servirsi di forme di autoconsumo virtuale.

I cittadini diventano autoproduttori di energia rinnovabile

L’autoconsumo collettivo è una nuova opportunità che la legge italiana, recependo la normativa europea, mette a disposizione dei cittadini per diventare autoproduttori di energia. In sostanza è solo attraverso la realizzazione della configurazione di autoconsumo collettivo che si possono creare le comunità energetiche rinnovabili. Come abbiamo visto,  far parte di sistemi di autoconsumo collettivi significa anche ottenere significativi incentivi economici e quindi arrivare a risparmiare sulla bolletta della luce.

Per poter accedere a questa configurazione è pero necessario che gli impianti F.E.R. della comunità rispettino alcune condizioni:

  • devono essere presenti all’interno di uno stesso condominio o della stessa cabina primaria;
  • gli impianti devono avere una potenza massima di 200 kWp.

Benefici: risparmiare sulle bollette della luce con 0 emissioni

Dotando un condominio di un impianto fotovoltaico, i condòmini potrebbero attingere all’energia prodotta dall’impianto e risparmiare sulla bolletta della luce producendo 0 emissioni. Ma non solo.

Per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti degli edifici sono infatti anche in vigore gli incentivi al 50%. Pertanto oltre a risparmiare sulle bollette della luce, vedremo tra poco anche quanto, potresti installare un impianto pagandolo la metà (scopri di più qui).

Ma non è tutto. Ottenere questa detrazione fiscale non significa dover rinunciare agli altri incentivi previsti per le comunità energetiche che riportiamo qui di seguito. Tali incentivi infatti sono gestiti dal GSE e durano 20 anni per tutti coloro che fanno parte di una comunità energetica. Queste agevolazioni, definite “tariffe incentivanti”, ammontano a:

  • 100 euro/MWh per i gruppi di auto consumatori;
  • 110 euro/MWh per le comunità energetiche.

La norma prevede anche la restituzione di alcune voci in bolletta a fronte dell’evitata trasmissione dell’energia in rete che questi impianti permettono.

Ciò comporta un ulteriore sgravio che Arera quantifica in:

  • 10 €/MWh per l’Autoconsumo Collettivo;
  • 8 €/MWh per le CER sull’energia condivisa.

C’è infine da considerare la remunerazione dell’energia immessa in rete a Prezzo Zonale Orario (pari a circa 50 €/MWh).

Sommando tutti i benefici è quindi possibile arrivare ad avere fino ad uno sconto di 0,16 € per ogni kW consumato prelevato dalla rete elettrica nazionale. Una cifra che ti permetterà di risparmiare sulla bolletta una somma considerevole!

Quanto risparmio ogni anno sulla bolletta della luce con le comunità energetiche?

Arrivato a questo punto forse ti starai chiedendo: “Quanto risparmio sulla bolletta della luce con le comunità energetiche? E’ possibile avere una cifra indicativa annuale?”.

Premettiamo subito che non è possibile dare una cifra precisa, dal momento che ci sono troppe variabili da tenere in considerazione andrebbe valutato caso per caso. Questa risposta infatti dipende da fattori come i consumi annuali, il prezzo attuale dell’energia concordato con i fornitori, le fasce orarie di consumo ecc.

Proviamo comunque a fare un esempio. Una famiglia tipo consuma 2700 kWh  di energia elettrica all’anno. Se supponiamo che il costo dell’energia sia di 0,30 € kWh allora la famiglia spenderebbe 810 € l’anno di elettricità. Tuttavia, far parte di una comunità energetica ti permette di risparmiare sulle bollette della luce in quanto i tuoi consumi saranno minori perché parte di essi saranno coperti dalla quota di autoconsumo. Inoltre avrai accesso alle tariffe incentivanti che ammontano fino a 0,16 €/kW. 

Se supponiamo una quota di autoconsumo del 50%, i consumi della stessa famiglia saranno allora 1350 kWh all’anno. Il prezzo dell’energia di questi kwh sarà però di 0,14 € kW. La cifra totale che la famiglia spenderà sarà quindi circa 200 €. Il risparmio ottenuto facendo parte di una comunità energetica con un impianto fotovoltaico ammonterebbe quindi, con il 50% di autoconsumo arriverebbe quindi a circa 600€ ogni anno!

A questi benefici economici si sommano poi tutte le tonnellate di CO2 non immesse in atmosfera e quindi a tutti i vantaggi ambientali che ne derivano. Considerando sempre la stessa famiglia è possibile  ridurre le emissioni di circa 950 kg CO2 /anno o replicare la stessa attività di assorbimento di 95 alberi con un conseguente notevole risparmio sulla bolletta della luce.

Sei interessato a risparmiare sulla bolletta della luce grazie alle comunità energetiche rinnovabili? Compila il modulo qui sotto con i tuoi dati ed attendi la chiamata del nostro operatore per sapere tutto su Valore Comunity, la C.E.R. di Valore Energia!

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Comunità energetica rinnovabile: cosa è? Quali sono i vantaggi?

Cosa è una comunità energetica rinnovabile? Quali sono i vantaggi del farne parte? Ecco il punto della situazione

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L’Italia produce solamente il 35% dell’energia elettrica che consuma. Una quota decisamente troppo bassa per poter essere indipendenti da un punto di vista energetico. Ed è proprio questo il motivo per cui siamo costretti ad importare energia dagli altri paesi per poter soddisfare i nostri consumi. Tuttavia, questa situazione ci espone a dei rischi notevoli in quanto il prezzo dell’energia che i consumatori italiani pagano è soggetto a delle variazioni che non possiamo controllare.

Ad esempio, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il prezzo del gas è salito alle stelle. Ma se il gas viene anche utilizzato per produrre elettricità, è normale che salga anche il prezzo di quest’ultima. In un contesto come quello attuale è quindi necessario cercare di fare in modo di riuscire sempre di più ad aumentare la quota di energia elettrica che produciamo. In sostanza è necessario fare in modo di aumentare la quota di energia auto-consumata.

In questo senso, possono tornare decisamente utili le comunità energetiche rinnovabili. Le C.E.R. (comunità energetiche rinnovabili), non sono solo un modo per produrre da soli l’energia che si consuma ma sono ben di più. Qualcuno infatti non ha esitato a definirle come uno strumento di “innovazione sistemica” vista la portata dei cambiamenti che potrebbe introdurre.

Ma cosa sono le comunità energetiche rinnovabili? Perché possono tornare così utili?

Abbiamo cercato di spiegarlo qui di seguito.

Cosa sono le comunità energetiche rinnovabili?

Le comunità energetiche rinnovabili, sono, come indica la definizione una

“coalizione di utenti che, tramite la volontaria adesione ad un contratto, collabora con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno o più impianti locali a fonti rinnovabili”.

Le C.E.R. quindi sono un gruppo di soggetti (comuni, condomini, famiglie, imprese o cooperative) capaci di produrre, consumare e condividere energia. In questo modo rispettano il principio di autoconsumo energetico e quello di autosufficienza, utilizzando impianti che producono energia pulita rinnovabile come appunto quelli fotovoltaici. E’ importante che l’impianto di produzione dell’energia in questione utilizzi le fonti rinnovabili. Del resto, così non fosse, le comunità energetiche rinnovabili non si chiamerebbero così.

Possono far parte di una comunità energetica tutti coloro, condomini o distretti produttivi, che sono allacciati alla medesima cabina primaria. Le reti che vengono sfruttate dalle C.E.R. sono quelle a media e bassa tensione già presenti nei nostri territori senza quindi bisogno di grandi investimenti in infrastrutture di distribuzione dell’energia. Anzi, la logica che governa queste reti, grazie alle comunità energetiche rinnovabili è destinata a rinnovarsi completamente. Il fatto di poter produrre l’energia che si consuma all’interno delle comunità, fa sì che le due categorie di utenti produttori e consumatori non esistano più. Tutti i cittadini, imprese o enti pubblici che fanno parte di una C.E.R. sono infatti destinati a diventare dei “prosumer” (consumer + producer).

E’ quindi abbastanza evidente come le comunità energetiche garantirebbero dei vantaggi per tutti. Non solo economici, limitando l’apporto di energia elettrica prelevato dalla rete elettrica nazionale e quindi spendendo meno per le bollette, ma anche ambientali. L’energia auto-consumata dai membri della comunità energetica rinnovabile infatti sarebbe completamente prodotta da fonti rinnovabili con 0 emissioni.

Come funzionano le comunità energetiche?

I membri di una comunità energetica rinnovabile possono essere suddivisi a loro volta in produttori di energia, coloro che effettivamente possiedono un impianto F.E.R. (come quello fotovoltaico) o consumatori, coloro che non ne possiedono uno. La novità delle C.E.R. sta nella possibilità di auto-consumare l’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico, quanto nella possibilità di scambiare e accumulare energia tra i cittadini. In questo modo quindi tutti, famiglie, condomini, stabilimenti produttivi, cooperative, possono produrre e consumare l’energia che producono essendo di fatto indipendenti dalla rete elettrica nazionale.

I consumatori e produttori di energia che fanno parte di una comunità energetica, possono avere più o meno vantaggi economici. Ovvio che i produttori ne abbiano di più dei consumatori.

In particolare, i produttori potranno usufruire delle seguenti tariffe incentivanti:

  1. 100 €/MWh se l’impianto di produzione fa parte di una configurazione di autoconsumo collettivo;
  2. 110 €/MWh se l’impianto fa parte di una comunità energetica rinnovabile.

Sarà inoltre possibile remunerare l’energia immessa nella C.E. ottenendo il Prezzo Zonale Orario, pertanto la somma dei benefici varia ammonta a circa 0,16 cent di Euro per kWh.

Per quanto riguarda i consumatori invece, ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) ha definito la restituzione in bolletta di alcuni importi a fronte dell’evitata trasmissione dell’energia nella rete nazionale. Questi importi ammontano ad una cifra compresa tra gli 8 ed i 10 Cent di Euro per ogni kWh.

Altri incentivi per le comunità energetiche rinnovabili

Alle cosiddette “tariffa incentivanti” delle comunità energetiche rinnovabili, si aggiungono altri vantaggi economici. Proviamo a spiegarli qui di seguito:

  • L’accesso alle C.E.R. infatti consente l’accesso alle detrazioni fiscali riservate ai privati per l’installazione di impianti fotovoltaici. In particolare ci riferiamo all‘Ecobonus che prevede un’aliquota di detrazione del 50% per gli impianti fotovoltaici recuperabile in 10 anni. Tale aliquota può anche essere recuperata subito sotto forma di sconto in fattura consentendoti così di pagare la metà per l’installazione di un impianto fotovoltaico.
  • E’ inoltre possibile anche accedere al Superbonus 110% senza dover rinunciare alla tariffe incentivanti delle C.E.R.
  • Infine, se un impresa decide di entrare a far parte di una comunità energetica rinnovabile, potrà comunque usufruire del credito di imposta del 6% sul costo d’investimento fruibile, solamente in compensazione, in tre anni.  (50% in 10 anni o, con il cosiddetto superbonus, 110% in 5 anni). Per intenderci, se un’impresa spende 20mila euro d’impianto le spetta un credito d’imposta di 1.200 euro all’anno per tre anni.

A queste agevolazioni si aggiungono poi quelle previste dai decreti anti-rincari che via via i vari governi stanno approvando uno dietro l’altro.

Definizioni giurdiche

Le definizioni di “autoconsumo collettivo” e di Comunità di energia rinnovabile (CER) si ritrovano in una delle otto direttive europee che regolano i temi energetici (CEP Clean Energy Package). Nello specifico nella direttiva UE 2018/2001. Questa definisce la comunità energetica rinnovabile come:

“un soggetto giuridico” fondato sulla partecipazione aperta e volontaria, il cui scopo prioritario non è la generazione di profitti finanziari, bensì il raggiungimento di benefici ambientali, economici e sociali per i suoi membri o soci e per il territorio in cui opera.

Per garantire il suo carattere no profit, dunque, tra i membri delle CER non sono ammessi aziende del settore energetico (fornitori ed ESCO) se non come prestatori di servizi infrastrutturali e di fornitura. Inoltre, come chiarito dal documento citato in apertura, la CER

“può gestire l’energia in diverse forme (elettricità, calore, gas) a patto che siano generate da una fonte rinnovabile”.

Le comunità energetiche rinnovabili sono inoltre a tutti gli effetti un “soggetto di diritto autonomo”, pertanto devono essere dotate di un proprio regolamento o statuto. La normativa stabilisce che l’energia auto prodotta dalla CER deve essere utilizzata per l’autoconsumo o per la condivisione con i membri della comunità. L’energia in eccesso invece può essere accumulata e venduta tramite accordi di compravendita di energia elettrica, fermo restando il requisito indispensabile della connessione alla stessa cabina primaria.

Il quadro normativo delle comunità energetiche rinnovabili

Dopo la pandemia, ma anche dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Unione Europea si è resa conto di dover far qualcosa di più in tema di sostenibilità e in tema di indipendenza energetica. Per questo, l’Unione Europea ha rivisto il programma RePowerEU rendendolo più ambizioso. In questo senso è stata aumentata la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili da raggiungere entro il 2030: dal 40 si è passati al 45%.

Aver definito questo obiettivo ambizioso a livello comunitario però implica anche diverse cose a livello italiano. In particolare, l’Italia dovrà rivedere il piano nazionale per l’energia e il clima (PNIEC) per allinearlo ai target europei. In particolare, è evidente come, per raggiungere questi obiettivi è necessario stimolare l’autoproduzione di energia per imprese industriali, agricole e comunità.

In tal senso, il governo italiano ha già recepito la la direttiva europea REDII che propone la soluzione della comunità energetica come strumento per la transizione ecologica. Con l’approvazione di questo decreto si allarga la portata potenziale delle C.E.R. permettendo loro di produrre maggiori quantità di energia elettrica e connettendo fra loro molti più utenti di quanto previsto a sua volta dal precedente decreto Milleproroghe. Oggi infatti la potenza massima degli impianti collegati alla comunità energetica rinnovabili ammonta ad 1 MW rispetto ai 200 kW previsti precedentemente.

Tuttavia le comunità energetiche rinnovabili stentano ancora a decollare. Mancano infatti ancora i decreti attuativi che di fatto rendono inapplicabili le “Regole tecniche per l’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia elettrica condivisa” del Gse.

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Responsabilità solidale alleggerita per la cessione del credito

La conversione del Decreto Aiuti-bis ha portato in dote una nuova responsabilità solidale attenuata per la cessione del credito

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Lo scorso 13 settembre 2022 il Senato ha approvato una modifica importante in materia del superbonus. La modifica ha aperto la strada alla responsabilità solidale attenuata dei cessionari dei crediti fiscali riconducibili ai bonus edilizi. La responsabilità solidale dei cedenti/cessionari si configurerà infatti solo in caso di dolo e colpa grave per i crediti relativi ai lavori successivi all’inserimento dell’asseverazione obbligatoria (cioè al DL Antifrodi, 157/2021).

Fra questi soggetti rientrano anche le banche e questa è una cosa importante. La responsabilità solidale è infatti la causa principale dello stop all’acquisto dei crediti d’imposta maturati dalle imprese edili da parte delle banche. Sbloccando la possibilità di acquisto di questi crediti, le aziende che svolgono i lavori con i bonus edilizi, possono tornare a lavorare. Liquidare il credito d’imposta alle imprese è infatti fondamentale per fare in modo che esse possano proseguire i lavori sui cantieri come abbiamo cercato di spiegare qui.

Possiamo quindi affermare che alla fine, dopo l’allargamento delle maglie della cessione del credito (DL Semplificazioni), arriva anche il ritorno al passato sulla responsabilità solidale. Le richieste di operatori e professionisti sono state quindi accolte dal Senato in sede di conversione del DL Aiuti Bis (115/2022). Nel testo del decreto infatti spicca l’introduzione dell’art.33-bis, rubricato “Semplificazioni in materia di cessione dei crediti ai sensi dell’articolo 121, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77”.

Ma cosa è la responsabilità solidale di preciso? Perché le banche potevano essere considerate responsabili dell’acquisto di crediti fasulli? Quali sono i nuovi cambiamenti apportati dal Decreto Aiuti Bis? 

Abbiamo cercato di rispondere a queste domande in maniera approfondita qui di seguito.

È importante conoscere le modifiche del Decreto Legge 11/2023 sulla cessione del credito d’imposta. Leggi il nostro articolo aggiornato qui.

Cos’è la responsabilità solidale per la cessione del credito?

Prima di proseguire oltre, riteniamo sia opportuno chiarire una volta per tutte cosa sia la responsabilità solidale per la cessione del credito d’imposta. Una responsabilità particolare, salita agli onori delle cronache dopo la pubblicazione della Circolare 23 del 23 giugno scorso dell’Agenzia delle Entrate.

In questa circolare, il Fisco, ha evidenziato che il cessionario avrebbe dovuto controllare i documenti presentati per la cessione del credito in maniera diligente. In caso di mancata diligenza scatterebbero dei controlli non solo nei confronti del contribuente che aveva ceduto il credito (in primis chi ha realizzato i lavori) ma anche del soggetto che ha acquistato il credito (per lo più banche).

Qualora il Fisco trovasse delle incongruenze avrebbe il potere di sequestrare la cifra corrispondente maturata dall’azienda o acquistata dalla banca nel relativo cassetto fiscale.

Ma quali sono i criteri da seguire per questa verifica diligente?

A tutti gli effetti, come stiamo per spiegare, è proprio questo il vero nodo della questione della responsabilità solidale.

I criteri per la verifica diligente

La verifica diligente dovrà quindi seguire una serie di regole stringenti individuate dalla stessa circolare. Alcune di queste regole sono però parse fin da subito fuori luogo.

  • Tra queste regole spicca la verifica della coerenza tra il valore iniziale dell’immobile e il costo dei lavori. Spesso infatti, gli interventi sostenuti dai richiedenti la maxi-detrazione, hanno riguardato la radicale trasformazione, attraverso l’efficientamento energetico e il miglioramento sismico, di veri e propri ruderi. In casi come questo appare evidente che la differenza tra il valore economico di partenza dell’immobile e la spesa necessaria per migliorarlo è spropositata.
  • Un’altra regola che ha creato problemi è la verifica della congruenza patrimoniale tra il valore dei lavori e la situazione reddituale e patrimoniale dei beneficiari. Da ciò si deduce che le banche, ogni volta che acquistano un credito d’imposta, devono verificare che i crediti d’imposta detenuti da un’impresa siano adeguati al volume d’affari della stessa. Ma come fanno a definire questa adeguatezza? La realtà dei fatti è che non esistono linee guida specifiche in merito. Per questo c’è il rischio concreto è che un domani, il Fisco giudichi questi criteri sbagliati e che quindi sequestri queste somme nei cassetti fiscali.

Questi che abbiamo appena elencato sono quindi i motivi per cui, con la responsabilità solidale è stato di fatto bloccato il meccanismo della cessione del credito d’imposta. A nulla è valso aver concesso la possibilità agli istituti di credito di cedere il credito anche ai propri correntisti titolari di Partita IVA per porre rimedio.

D’altro canto, chi acquisterebbe dalle banche un credito fiscale con il rischio di dover poi rispondere di eventuali irregolarità commesse da altri? Così, la possibilità concessa alle banche di liberarsi dei crediti che avevano acquistato non è mai decollata bloccando anche la possibilità di acquisirne di nuovi.

I contenuti del DL Aiuti Bis sulla responsabilità solidale in dettaglio

Con il DL Aiuti bis quindi, la responsabilità solidale dei cessionari è notevolmente ridotta ed alleggerita ma non scompare. Precisiamo infatti che, chi acquista il credito può essere chiamato in causa nel caso in cui risulti complice del cedente nel non rispettare le regole.

Esaminando il decreto in dettaglio emerge anche che:

  • è abolita la responsabilità solidale, in ogni caso, per i cessionari di crediti derivanti dal Superbonus e per i cessionari dei crediti collegati ad altri bonus edilizi se generati dopo l’entrata in vigore del DL Antifrodi (si ripristina il ‘vecchio’ art.121 comma 6 del DL 34/2020);
  • per i crediti precedenti a tale data, la responsabilità solidale è abolita solo in presenza di asseverazione e a condizione che il cedente coincida con il fornitore e sia un soggetto diverso da banche e istituti finanziari. Il cedente, ai fini della limitazione della responsabilità solidale, dovrà acquisire ora per allora la documentazione relativa alla certificazione del credito (articolo 121, comma 1-ter DL Rilancio);
  • resta sempre ferma la responsabilità per dolo o colpa grave.

NB – Ricordiamo che queste misure non sono ancora in vigore, visto che il testo emendato del Senato dovrà passare alla Camera per la definitiva conversione in legge – e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – entro il 9 ottobre.

Vuoi leggere le ultime novità sullo sblocco della cessione del credito d’imposta? Allora clicca qui!

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Caldaia ibrida e riscaldamento ibrido: tutto quello che c’è da sapere

Caldaia ibrida: cosa è e come funziona un sistema di riscaldamento ibrido

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In questi ultimi mesi la caldaia ibrida sta riscuotendo un successo sempre maggiore. Un trend facilmente immaginabile visto il prezzo del gas che non fa altro che salire, complice la guerra tra Russia e Ucraina. E’ proprio a causa dei continui rincari che le persone come te stanno cercando dei metodi alternativi per il riscaldamento della propria abitazione o del proprio ufficio. Utilizzare le caldaie a gas sta diventando un lusso che sono sempre meno persone a potersi permettere.

La caldaia ibrida è infatti una pompa di calore ibrida ovvero un un impianto di riscaldamento ibrido con più generatori di calore alimentati da diverse fonti di energia rinnovabile e non. La caldaia ibrida solitamente sta ad indicare un impianto di riscaldamento ibrido composto da pompa di calore e caldaia a condensazione. In realtà però, il sistema ibrido di cui ti parleremo noi oltre alla pompa di calore sfrutta una caldaia elettrica. In alternativa, l’impianto può definirsi ibrido anche perché può sfruttare per la produzione di calore l’energia fornita da fonti rinnovabili come quella fornita da un impianto fotovoltaico.

L’innegabile vantaggio di una caldaia ibrida è quindi la possibilità di funzionare con più tipi di energia consentendoti un risparmio notevole sulla bolletta del gas. In questo modo riuscirai a sfruttare al meglio le potenzialità del tuo impianto di riscaldamento ibrido ottenendo il giusto comfort e spendendo poco.

Ma come funziona più nel dettaglio una caldaia ibrida? E’ davvero conveniente? Esistono degli incentivi in grado di abbattere il costo dell’investimento?

Abbiamo cercato di rispondere a queste domande con l’ausilio dei nostri esperti qui di seguito.

Come funziona una caldaia ibrida?

Come abbiamo appena avuto modo di accennare, una caldaia ibrida non è altro che un sistema di riscaldamento che si avvale di diversi tipi di generatore di calore. Il sistema di riscaldamento ibrido più diffuso è quello che abbina una pompa di calore con una caldaia a condensazione. Questo sistema è particolarmente efficiente in quanto consente sia il riscaldamento che il raffrescamento degli ambienti oltre alla produzione di acqua calda sanitaria.

I due generatori sono alimentati da fonti energetiche diverse e di volta in volta sarà attivato quello più efficiente, ovvero quello più idoneo in quel momento. Questa tipologia di sistema è, quindi, una delle più adatte per condizioni climatiche molto variabili. Se, ad esempio, la richiesta termica è molto elevata, allora sarà la caldaia a condensazione ibrida ad erogare il 100% del calore richiesto. Se la temperatura esterna si aggira tra i -4°C e i 7°C, si attiveranno entrambi i generatori. Se, invece, la temperatura supera i 7°C, sarà la pompa a gestire completamente in autonomia la temperatura

Tuttavia, con i recenti aumenti del costo del gas, questo sistema ibrido non è più conveniente come lo era fino a qualche mese fa. Per questo quella che ti proponiamo noi è una caldaia ibrida che funziona con pompa di calore e caldaia elettrica. In questo caso la caldaia elettrica funge da generatore di calore ausiliario alla pompa di calore facendo in modo di riscaldare il fluido termovettore senza l’eccessivo assorbimento di energia richiesto dalla pompa di calore nel caso in cui la temperatura esterna si aggiri tra i -4°C e i 7°C. Al di fuori di questo intervallo invece si attiverà un generatore di calore o l’altro in base alla propria efficienza.

I vantaggi di un impianto ibrido

I vantaggi di una caldaia ibrida sono molteplici e di diversa natura. Abbiamo cercato di riassumerli qui di seguito.

  • Riduzione dei consumi che va dal 30 al 50% nel caso di impianto ibrido con caldaia a condensazione e pompa di calore. I consumi di gas possono essere però ridotti a 0 in caso di utilizzo della caldaia elettrica;
  • Alta efficienza energetica: una caldaia elettrica è in grado di sfruttare il 99% dell’energia assorbita per produrre calore. Stesso discorso per la pompa di calore.
  • Abbattimento delle emissioni di CO2: una riduzione dei consumi unita ad all’alta efficienza energetica della caldaia ibrida si traduce in un minor consumo dei combustibili fossili e quindi in una riduzione dell’inquinamento.
  • Possibilità di essere indipendenti da un punto di vista energetico. Collegando la caldaia ibrida composta da caldaia elettrica e pompa di calore ad un fotovoltaico è possibile sfruttare l’energia di quest’ultimo per alimentare il sistema ibrido. In questo modo potresti anche raggiungere l’obiettivo di auto-consumare tutta l’energia che produce il tuo impianto non ricorrendo a quella della rete elettrica nazionale per un risparmio in bolletta ancora più significativo.
  • Aumento della classe energetica dell’immobile che si traduce in un aumento del valore dello stesso.
  • Compattezza e facilità d’installazione dell’impianto.
  • Manutenzione veloce.
  • Possibilità di riscaldare o di raffreddare gli ambienti. La caldaia ibrida è quindi ottima anche per i mesi estivi.
  • Produzione immediata dell’acqua con il 20% in più di efficienza.

A quanto ammontano i costi di una caldaia ibrida?

Il costo di un impianto ibrido varia, a seconda dei modelli e dalla marca, dai 10.000 € fino ai 15.000 €. In questo range sono solitamente inclusi:

  • la fornitura dei generatori
  • gli accessori per il montaggio,
  • i collegamenti idraulici ed elettrici,
  • la relativa manodopera.

A questi costi c’è inoltre da aggiungere la redazione della legge 10 che può costare dai 500 € ai 1000 €, IVA esclusa. I costi di manutenzione, invece, ammontano a circa 80 € ogni due anni.

Tuttavia se già i costi da sostenere ti stanno spaventando abbiamo una buona notizia da darti. Esistono infatti delle agevolazioni fiscali che ti permetteranno di risparmiare notevolmente per l’installazione di una caldaia ibrida. Fra queste spicca senza dubbio l’Ecobonus 65% che ti consente appunto una detrazione fino al 65% dei costi di fornitura e di installazione. Ne parliamo meglio qui di seguito.

Quali sono le detrazioni fiscali per l’installazione di una caldaia ibrida?

Fra le detrazioni fiscali disponibili per l’installazione di una caldaia ibrida vi è certamente l’Ecobonus 65% che sarà valido fino al 2024.

Tale detrazione permette di detrarre dalla denuncia dei redditi fino al 65% dei costi di fornitura e di installazione. Tale importo ti verrà restituito in 10 rate annuali tramite le detrazioni sull’IRPEF.

Il Decreto Rilancio però ha introdotto altre interessanti possibilità. Grazie a questa legge infatti è possibile anche usufruire dello sconto in fattura e della cessione del credito per questo bonus. In questo modo, anziché aspettare dieci anni per recuperare la detrazione fiscale potrai ottenere subito uno sconto del 65% sulla spesa che hai sostenuto.

L’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha pubblicato le nuove linee guida aggiornate con tutte le regole da seguire sia per l’acquisto che per l’istallazione dei sistemi ibridi in sostituzione di un vecchio impianto. In particolare, possono beneficiare della detrazione fiscale tutti i contribuenti che affrontano le spese di riqualificazione energetica in possesso di un diritto reale sulle unità immobiliari (vale anche per la seconda casa), in cui verrà installata la caldaia ibrida. I

Come si può risparmiare sull’energia elettrica e gas?

Optare per l’installazione di una caldaia ibrida è sicuramente un primo passo verso il risparmio sulla bolletta del gas.

Come abbiamo visto, potresti anche non dover usare più gas nel caso in cui tu decida di installare una sistema ibrido con caldaia elettrica e pompa di calore collegandolo ad un impianto fotovoltaico. Per questo il nostro consiglio è quello di ricorrere a quest’ultima casistica che, tra le altre cose, ti permetterà anche di usufruire degli incentivi per gli impianti fotovoltaici in vigore in questo momento.

Se cerchi un modo per risparmiare sulla bolletta del gas senza rinunciare a riscaldare adeguatamente gli ambienti di casa tua allora la caldaia ibrida è quello che fa per te.

Sei curioso di scoprire quali sono gli incentivi per il riscaldamento domestico in vigore nel 2024? Allora clicca qui e scoprili subito!

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Caldaie elettriche: una valida soluzione per ottimizzare i consumi

Alla scoperta delle caldaie elettriche: una valida soluzione per ottimizzare i consumi di casa tua

Home » Archivi per Andrea Sepiacci » Pagina 15

 

Le caldaie elettriche rappresentano una delle diverse alternative disponibili sul mercato dell’ambito dei generatori di calore. Si tratta di un dispositivo particolarmente versatile visto che può essere applicato a qualsiasi tipo di impianto sia per il riscaldamento sia per la produzione acqua calda sanitaria.

Il dispositivo è particolarmente efficiente, come tutti gli apparecchi elettrici visto che, alle giuste condizioni, è in grado di produrre acqua calda sanitaria con un ridotto dispendio di energia.

Un particolare non di certo secondario in questi ultimi tempi visti i recenti rincari subiti dal prezzo dell’energia, soprattutto quello del gas. Proprio a causa di questi rincari, ricorrere a questo sistema potrebbe essere la soluzione definitiva per abbattere totalmente la bolletta del gas. Ricorrendo a questo dispositivo infatti avrai solo bisogno di elettricità e quindi potrai essere indipendente dalla fornitura di gas.

Ma perché questi dispositivi sono in grado di ottimizzare ancora di più i tuoi consumi? Sono convenienti oppure no?

Abbiamo cercato di rispondere a queste domande con l’aiuto dei nostri esperti qui di seguito.

Cosa sono le caldaie elettriche

Le caldaie elettriche sono dei dispositivi in grado di riscaldare il fluido termovettore di un impianto termico ovvero l’acqua che scorre all’interno delle tubature o dei termosifoni. Per farlo, le caldaie elettriche sfruttano l’effetto Joule ovvero la trasformazione dell’energia elettrica in calore. Per questo possono essere applicate sia per il riscaldamento sia per la produzione di acqua calda sanitaria.

Esteticamente la caldaia elettrica è molto simile ad una normale caldaia a gas o a condensazione. L’unica differenza è che non necessita di un camino per lo smaltimento dei fumi di combustione, e di aperture di areazione. Puoi quindi stare tranquillo, installare una caldaia elettrica non richiede chissà quali opere murarie. Non bruciando niente, di fatto le caldaie elettriche non immettono CO2 in atmosfera e quindi non inquinano. Una caratteristica, quest’ultima, che le rende particolarmente apprezzate da coloro che come te hanno a cuore la sostenibilità ambientale.

Questi dispositivi sono adatti sia per il settore residenziale che industriale anche in base all’utilizzo che se ne vuole fare. Possono essere infatti usate come sistema principale per il riscaldamento ma anche come un sistema secondario che si integra in sistemi più complessi garantendone la stabilità.. La gamma dei modelli per il settore abitativo comprende ordinariamente potenze variabili da 3 a 36 kW, con alimentazione a 230V fino a 6 kW e 400V per le potenze superiori.

Le caldaie elettriche sono sostanzialmente composte da:

  • uno scambiatore termico cilindrico con 2 – 4 resistenze ad immersione (a seconda del modello),
  • un gruppo idraulico comprendente un circolatore per l’impianto di riscaldamento, un sensore di pressione, una valvola di sicurezza ed una valvola di manutenzione, che svolge anche funzioni di disaerazione.

Il rendimento di una caldaia elettrica è molto elevato, prossimo al 99% nei modelli più avanzati, come del resto il rendimento delle macchine elettriche in generale.

Consumi delle caldaie elettriche

I consumi delle caldaie elettriche potrebbero sembrarti particolarmente elevati. Per alimentare in modo istantaneo un normale rubinetto domestico (portata di 0,1 L/s) è necessaria la disponibilità di una potenza termica di oltre 10 kW, un valore molto elevato rispetto ai normali contatori residenziali.

Tuttavia la realtà non è così. Le caldaie elettriche sono infatti dotati di sistemi di accumulo dell’acqua calda basati sul funzionamento di uno scambiatore a serpentina, proprie resistenze elettriche o dispositivi tank in tank. In questo modo il consumo di elettricità per la produzione di acqua calda ne risulta notevolmente ridotto.

Ma il vero vantaggio delle caldaie elettriche da un punto di vista dei consumi è la possibilità di affiancarle ad un regolatore climatico. In questo modo potrai correlare la temperatura di mandata con la temperatura esterna e risparmiare ancora di più sulla bolletta. Scegliendo infatti una corretta curva di riscaldamento potrai ottenere una notevole economicità di servizio ed il giusto comfort termico.

Inoltre, come approfondiremo più avanti, se sono i consumi elettrici a preoccuparti ti anticipiamo che questi dispositivi possono essere facilmente integrati ad un impianto fotovoltaico. In questo modo potrai sfruttare l’energia prodotta dall’impianto per alimentare la caldaia.

Pro e contro delle caldaie elettriche

Abbiamo riassunto i principali vantaggi delle caldaie elettriche qui di seguito:

  • utile opzione in assenza di altri tipologie di alimentazione al di fuori di quella elettrica;
  • assenza di canna fumaria;
  • nessun foro per aerazione e ventilazione;
  • nessuna emissione inquinante locale;
  • nessun vincolo sul locale di installazione;
  • esenzione dalle verifiche periodiche;
  • funzionamento silenzioso;
  • contenuti costi di manutenzione;
  • costi iniziali competitivi (il prezzo medio attuale è di circa 85 euro/kW).

Per quanto riguarda i contro delle caldaie elettriche dobbiamo ammettere che alcune criticità potrebbero emergere dagli elevati livelli di potenza richiesti per il suo funzionamento. Potenza prodotta tramite energia elettrica che potrebbe provenire dalla rete elettrica nazionale e quindi avere un costo elevato oltre ad impattare significativamente sulle emissioni di CO2.

Tuttavia queste criticità potrebbero essere facilmente risolte integrando la caldaia elettrica ad un impianto fotovoltaico in modo da abbatterne i consumi. In alternativa è anche possibile prevedere un sistema ibrido caldaia elettrica e pompa di calore.

Alimentazione delle caldaie elettriche

Un sistema di riscaldamento basato sullo sfruttamento dell’effetto Joule per avere dei consumi contenuti dovrebbe essere installato su nuove costruzioni o fabbricati sottoposti ad interventi di efficientamento energetico importanti. In sostanza dovrebbe essere installato su edifici con una bassa dispersione termica in modo da non richiedere potenze elevate per il suo funzionamento.

Ovviamente non sempre è possibile. Per questo la miglior soluzione per abbatterne i consumi rimane quella di integrarlo ad un impianto fotovoltaico in grado di soddisfare i consumi della caldaia elettrica. In particolare, durante il giorno, ovvero quando l’impianto fotovoltaico produce elettricità, potresti anche arrivare ad un autoconsumo quasi totale e non prelevare energia elettrica dalla rete. Grazie all’autoconsumo quindi potresti produrre da solo l’energia elettrica necessaria al funzionamento della tua caldaia elettrica ed abbattere anche i consumi della tua bolletta della luce.

Altra alternativa per abbattere i consumi elettrici di una caldaia elettrica è quella di integrarla con un impianto di riscaldamento a pompa di calore. In questo caso, a produrre calore tramite fonti rinnovabili, e quindi a scaldare l’acqua, sarebbe proprio la pompa di calore. Sfruttando il calore presente naturalmente nell’aria, le pompe di calore sono infatti in grado di riscaldare l’acqua per il riscaldamento. In questo modo, la caldaia elettrica si troverebbe a dover scaldare un’acqua già calda impiegando quindi meno energia.

In alternativa, la caldaia elettrica potrebbe svolgere un ruolo di generatore tampone coadiuvando l’attività del riscaldamento a pompa di calore permettendo a quest’ultima di consumare a sua volta meno energia. Rimane inoltre la possibilità di alimentare questi due sistemi con un impianto fotovoltaico abbattendo ancora di più i loro consumi.

Conclusioni

In uno scenario che punta sempre più all’autoconsumo di energia elettrica, le caldaie elettriche possono assumere un ruolo particolarmente attivo. Ovviamente sarà sempre necessario dimensionarle ed integrarle in impianti che sfruttano anche altre risorse rinnovabili come ad esempio quelli a pompa di calore o quelli fotovoltaici.

Una caldaia elettrica è comunque una valida opzione in tutti quei casi in cui non siano disponibili altre forme di energia come il gas. Inoltre sono particolarmente efficienti in tutte quelle casistiche in cui possono assolvere significative funzioni di generatore tampone in impianti solari termici, a pompa di calore, di riscaldamento per vani e/o zone ad utilizzo occasionale o con funzioni di supporto alle abitazioni (lavanderie, ecc.).

Ricordiamo infine che le caldaie elettriche sono particolarmente adatte in tutti quegli ambiti edilizi caratterizzati da consumi energetici molto bassi. In particolare, ci riferiamo a tutti gli edifici di nuova costruzione dotati di sistemi più complessi. In questi casi, le caldaie elettriche possono garantire una corretta e più stabile funzionalità ed efficienza di questi sistemi.

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Impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore: il punto sugli incentivi

Quali sono gli incentivi per l’installazione di un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore attualmente in vigore o lo saranno nel 2023?

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Installare un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore ti consentirà di riscaldare o di raffrescare il tuo immobile in maniera sostenibile, efficiente ma soprattutto anche conveniente. Un fattore, quest’ultimo, non da poco visto che il prezzo dell’energia è in continuo aumento. Basti pensare che il prezzo del gas che viene utilizzato dalle caldaie per il riscaldamento è aumentato di ben 6 volte rispetto all’anno scorso. Le pompe di calore sono dei dispositivi gas free e pertanto sono in grado di garantirti un abbattimento notevole dei costi della bolletta del gas. Inoltre, sono perfettamente in linea con gli obiettivi di de-carbonizzazione, efficienza e sicurezza energetica dell’European Green Deal.

Sono in molti quindi a cercare dei metodi alternativi per riscaldarsi e gli impianti di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore sono particolarmente apprezzati visto che possono raffrescare o riscaldare gli ambienti a seconda delle necessità. Nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di de-carbonizzazione sottoscritti negli accordi Europei il legislatore ha quindi previsto, per coloro, che decidono di sostituire il vecchio impianto di riscaldamento, delle agevolazioni e degli incentivi.

In questo approfondimento cercheremo appunto di fare il punto sugli incentivi e sulle agevolazioni fiscali per l’installazione di un nuovo impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore. Inoltre spiegheremo in maniera semplice e completa anche qual è la documentazione necessaria e quali sono i requisiti per cogliere queste opportunità.

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Perché installare un impianto con pompa di calore?

Prima di entrare nel merito degli incentivi previsti per un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore, occorre fare una dovuta premessa sul perché scegliere questa tipologia di generatori. 

Partiamo dal contesto. Il panorama immobiliare italiano è caratterizzato da edifici in gran parte risalenti agli anni comprese tra il ’60 e l’80. Ne deriva quindi che tali edifici non sono efficienti da un punto di vista energetico, ovvero disperdono molto calore, ed hanno sistemi di riscaldamento vecchi, molto inquinanti e spesso anche fuori norma. In questi edifici ovviamente, decidere di sostituire il proprio sistema con un un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore fa la differenza in termini di consumi. Ma non solo, a nostro avviso una scelta di questo tipo è indispensabile anche per salvaguardare l’ambiente.

Come abbiamo accennato, la pompa di calore è in grado di rispondere bene a queste necessità. La tecnologia alla base di questo dispositivo è infatti in grado di raccogliere l’energia termica naturalmente presente nell’aria, quindi gratuitamente, e trasferirla all’interno di un edificio, riscaldandolo. D’estate invece il meccanismo è lo stesso ma nel senso opposto. Tale energia termica è di gran lunga superiore a quella elettrica necessaria per il suo funzionamento.

Le pompe di calore inoltre possono anche usare il meccanismo del riscaldamento per produrre acqua calda sanitaria da far circolare all’interno dei termosifoni. Per questo si dice che sono dei dispositivi che permettono la climatizzazione a ciclo annuale (riscaldamento e raffrescamento). In questo modo ridurrai al minimo i consumi di energia proveniente da fonti fossili, come il gas appunto.

Integrazione delle pompe di calore con altri impianti a fonti rinnovabili

Ovviamente, per funzionale, un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore, ha bisogno di elettricità.

Tuttavia questo impianto può essere facilmente integrato ad altre impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili come il fotovoltaico e il solare termico. In questo modo, ridurrai l’elettricità necessaria al funzionamento di questo dispositivo, ed avrai un impianto a consumo basso o quasi nullo. Con una riduzione sensibile dei consumi, potrai avere un maggiore efficienza dell’impianto ed un maggiore comfort oltre ad un maggiore valore dell’edificio.

Incentivi per impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore: Ecobonus 65% e Super-Ecobonus 110%

Gli incentivi per l’installazione di un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore sono sostanzialmente due:

  • L’ecobonus 65%, valido fino al  31 dicembre 2024;
  • Il superbonus 110% valido per i condomini fino al 31 dicembre 2025 anche se con aliquote ridotte per gli anni successivi al 2023;

Ne parliamo meglio qui di seguito.

L’Ecobonus 65% è la detrazione IRPEF o IRES spettante ai contribuenti che effettuano lavori per il risparmio energetico di edifici esistenti. Il bonus viene erogato nella forma di riduzione delle imposte dividere, in 10 rate annuali di pari importo (ne parliamo meglio qui).

Il Superbonus è un’agevolazione fiscale prevista dal cd. “Decreto Rilancio” (Decreto-legge n.34/2020) che eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute per l’efficientamento energetico degli edifici esistenti. La detrazione viene ripartita in 4 quote annuali di pari importo, entro i limiti di capienza dell’imposta annua derivante dalla dichiarazione dei redditi. I due requisiti principali di accesso alle aliquote maggiorate sono l’obbligo di effettuare almeno uno degli interventi cd. “trainanti” (di cui parliamo qui) e il vincolo di raggiungere, nello stato post-interventi, un salto di almeno due classi energetiche rispetto allo stato di fatto.

Sconto in fattura e cessione del credito d’imposta

Particolarmente interessante in merito ai bonus per l’installazione di un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore è la possibilità di usufruire dello sconto in fattura o di cedere il credito d’imposta.

L’art. 121 del D.L. Rilancio infatti stabilisce che i soggetti che sostengono le spese per gli interventi che rientrano nel Superbonus 110% o nell’Ecobonus 65% L. possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, alternativamente per:

  • un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto fino a un importo massimo pari al corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e da quest’ultimo recuperato sotto forma di credito d’imposta, con facoltà di successiva cessione del credito ad altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari;
  • la trasformazione del corrispondente importo in credito d’imposta, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari.

In sostanza quindi l’installazione di un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore potrebbe costarti anche il 65% in meno! Un’opportunità particolarmente vantaggiosa che ti consigliamo di non lasciarti assolutamente sfuggire. Per coglierla potrai sfruttare anche il 2023 ed il 2024 quindi hai ancora tutto il tempo per usufruirne!

Come accedere alle detrazioni fiscali del 65% e del 110%?

Per accedere ai bonus per l’installazione di un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore è necessario che vengano effettuati i seguenti interventi:

  • Sostituzione, integrale o parziale, di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di pompe di calore ad alta efficienza, anche con sistemi geotermici a bassa entalpia;
  • Rimpiazzo di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria.

L’intervento deve configurarsi come sostituzione integrale o parziale del vecchio impianto di climatizzazione invernale e non come nuova installazione. Sono inoltre previsti dei requisiti da rispettare ma non è questa la sede per approfondirli.

Quadro sintetico degli incentivi per l’installazione di un un impianto di climatizzazione invernale ed estiva a pompa di calore e delle scadenze

Tipologia di intervento Soggetti beneficiari Ecobonus 65% Superbonus 110%
Detrazione massima ammissibile Termine per il sostenimento delle spese Spesa massima ammissibile Termine per il sostenimento delle spese
Sostituzione integrale o parziale di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di pompe di calore ad alta efficienza Persone ed edifici unifamiliari e su unità con accesso autonomo e funzionalmente indipendenti site in edifici plurimi  

 

 

30.000 € per unità immobiliare

 

 

 

 

31/12/2024

 

 

Intervento trainante 30.000€ per unità immobiliare

 

 

 

31/12/2022 con 30% Sal al 30/09/2022

Condomini, persone fisiche uniche proprietarie di edifici da 2 a 4 abitazioni ed eventuali pertinenze, nonché onlus, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale  

€ 30.000  per unità immobiliare

 

31/12/2024

Se impianto centralizzato: Intervento trainante 20.000€ per 8 u.i. + 15.000€ per le restanti  

31/12/2025 con le seguenti detrazioni:

·        110% entro 2023

·        70% entro 2024

·        65% entro 2025

 

 

30.000 € per unità immobiliare

 

 

 

31/12/2024

Nel caso di un impianto autonomo: intervento trainato 27.272 € per unità immobiliare
Rimpiazzo di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria Persone fisiche su edifici unifamiliari e su unità con accesso autonomo e funzionalmente indipendenti site in edifici plurifamiliari e condomini, persone fisiche uniche proprietarie di edifici da 2 a 4 abitazioni ed eventuali pertinenze, nonché onlus, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale  

 

 

 

 

€ 30.000 per unità immobiliare

 

 

 

 

 

 

31/12/2024

 

 

 

 

Intervento trainato 27.272 € per unità immobiliare

 

 

 

 

 

Stesse scadenze previste per l’intervento di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale in relazione alla tipologia di edificio.

Per entrambi gli interventi sopra menzionati I titolari di reddito d’impresa per i fabbricati strumentali utilizzati in riferimento alla propria attività imprenditoriale (edifici industriali)  

 

 

30.000 € per unità immobiliare

 

 

 

 

01/01/2024

no no

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Tutti i pasticci sul Superbonus 110% che ci nascondono i nostri politici

Alla scoperta di tutti i pasticci sul Superbonus 110% che ci nascondono i nostri politici e dei motivi per cui le banche non acquistano più il credito d’imposta

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Oramai più di due anni fa, faceva l’ingresso nella normativa Italiana il DL Rilancio e con esso il Superbonus 110%. La ratio con cui è stata approvata questa legge era quella di sostenere il comparto edilizio, fra i settori più colpiti dall’emergenza pandemica che ha imposto lo stop ai cantieri aggravandone ulteriormente la crisi.

La misura approvata dal governo Conte avrebbe dovuto dare lavoro a migliaia di imprese con lo Stato e le banche, a fare da garante per quanto riguarda i conti. Inoltre, con questa misura si cercava anche di compiere un passo deciso verso la transizione ecologica visti gli accordi internazionali sottoscritti dai nostri politici.

Oggi, due anni dopo l’approvazione della misura, possiamo affermare con certezza che l’obiettivo di rilanciare il settore dell’edilizia è stato raggiunto. Le ultime stime infatti mostrano un valore economico generato pari a 124,8 miliardi di euro (di cui 56,1 mld per effetto diretto, 25,3 mld per effetto indiretto e un indotto di 43,4 mld). Un obiettivo centrato in pieno che ha spinto anche l’ormai quasi ex premier a confermare il bonus stanziando altre risorse oltre quelle già messe a bilancio.

Tuttavia è stato proprio l’ex capo della Bce che ha rimarcato come molte cose non stiano procedendo nel modo sperato. Una situazione che sta esponendo le finanze pubbliche e private a dei rischi davvero molto pericolosi. Rischi che probabilmente non erano stati presi in considerazione al momento della stesura del provvedimento e che hanno posto le basi dei pasticci sul Superbonus che si sono susseguiti in questi mesi.

I pasticci sul Superbonus 110% che i politici cercano di nascondere, soprattutto adesso che siamo vicini alle elezioni, riguardano soprattutto il meccanismo della cessione del credito. Pasticci che hanno portato oggi ad un massiccio blocco dei cantieri superbonus di cui parliamo meglio qui e ad un concreto rischio di fallimento per migliaia di imprese edili.

È importante conoscere le modifiche del Decreto Legge 11/2023 sulla cessione del credito d’imposta. Leggi il nostro articolo aggiornato qui.

Proviamo a fare il punto su questi pasticci sul Superbonus in questo approfondimento.

Le conseguenze dei pasticci sul Superbonus dei nostri politici

Se migliaia di imprese sono a rischio di fallimento e sono tantissimi i cantieri bloccati, il merito è dei pasticci combinati dai nostri politici sul Superbonus.

Come abbiamo appena visto, la norma in sé aveva quindi tutte le carte in regola per essere salutata come una misura fondamentale per il rilancio del settore edilizio e dell’efficientamento energetico. Con il superbonus lo stato ha generato un valore economico di 124 miliardi di euro con un beneficio per le casse statali di 4.219 milioni di euro, pari al 30% dell’extragettito.

In realtà, con la complicità dei nostri politici, il Superbonus ha finito per produrre delle storture difficilmente raddrizzabili. In particolare, a preoccupare, è il nodo legato alla cessione del credito di cui parleremo più avanti. Una possibilità quest’ultima dapprima accolta con entusiasmo ma che si è rivelata, dopo i moltissimi cambiamenti della normativa, ergo i moltissimi pasticci sul superbonus dei nostri politici, una zavorra da cui è quasi impossibile liberarsi. A farne le spese, oltre alle casse dello Stato, potrebbero essere anche le finanze di milioni di cittadini e migliaia di imprese che in questi mesi hanno deciso di usufruire della maxi-detrazione.

Ma come si è arrivati a questa situazione? Quali sono i pasticci sul superbonus che hanno combinato i nostri politici?

Come funzionano lo sconto in fattura e la cessione del credito?

Prima di procedere oltre, ci teniamo a spiegare nuovamente il funzionamento dei meccanismi dello sconto in fattura e della cessione del credito. Se infatti la misura ha riscosso un successo così straordinario, molto del merito è anche di questi due meccanismi particolarmente vantaggiosi per il committente.

Costui infatti può cedere all’impresa esecutrice dei lavori il credito d’imposta maturato beneficiando della detrazione. In cambio, l’impresa esecutrice dei lavori, applicherà uno sconto in fattura di pari importo. L’impresa in questione quindi, ottenendo questo credito d’imposta può realizzare un guadagno superiore a quello che avrebbe ottenuto normalmente. Il credito che otterrebbe ammonta infatti al 110% della spesa sostenuta.

Tuttavia la realtà dei fatti non è così semplice come sembra. Per realizzare i lavori previsti, le imprese devono anticipare di tasca loro alcune spese come quelle per l’acquisto dei materiali. Il credito d’imposta loro riconosciuto è erogato solo dopo la fine dei lavori o quanto meno dopo il raggiungimento di determinati SAL (Stati Avanzamento Lavori).

Per rientrare di queste spese che hanno anticipato c’è solo una strada: cedere il credito d’imposta a banche o istituti di credito in cambio di liquidità. Un meccanismo che almeno fino ad un certo momento, ha funzionato alla perfezione, visto che le imprese potevano rientrare subito (di solito entro un mese o due) della somma anticipata ma che poi si è incartato come avremo modo di approfondire tra poco.

I pasticci sulla cessione del credito dei politici italiani

Originariamente, il meccanismo della cessione del credito non conosceva limiti. Il credito poteva essere ceduto un numero illimitato di volte e senza responsabilità per coloro che acquisivano questi crediti ma solo per i beneficiari della detrazione o gli asseveratori.

La cessione illimitata dei crediti stava iniziando a creare un mercato dei crediti d’imposta che permetteva a chiunque di liquidare in breve tempo i crediti posseduti senza rischi per gli acquirenti. Le imprese riuscivano così a rientrare quasi subito delle somme anticipate per lo svolgimento dei cantieri e non erano costrette a richiedere altro credito, indebitandosi, per proseguire oltre.

Questo meccanismo ha subìto poi diversi cambiamenti che si sono susseguiti tra ottobre 2021 e marzo 2022. Da un numero illimitato di cessioni, si è passati ad una soltanto, per poi tornare indietro e prevederne 2 e poi 3 (DL 13/2022) ed in alcuni casi 4 (ne parliamo qui). Ad ogni cambiamento della normativa, ovvero praticamente ogni mese, ci sono stati dei blocchi e dei ritardi nella liquidazione di questi crediti. Blocchi e ritardi che hanno costretto le imprese esecutrici dei lavori, in mancanza di altra liquidità, a bloccare i lavori o ad indebitarsi per portare avanti i loro cantieri.

Il DL 13/2022 non si limita a sconvolgere ancora una volta il meccanismo della cessione del credito. Il vero pasticcio dei politici italiani è l’introduzione, per le banche, della responsabilità solidale (scopri gli ultimi aggiornamenti in merito). Il meccanismo, di cui parleremo meglio più avanti, prevede che anche le banche possano essere ritenute responsabili dell’acquisto di crediti fiscali derivanti da frode, pertanto le banche sono tenute a controllare l’effettiva bontà di questi crediti. Ciò ha quindi generato ulteriori ritardi che si sono aggiunti a quelli generati a sua volta dall’approvazione del Decreto Antifrodi.

Esamineremo i pasticci sul Superbonus dei nostri politici qui di seguito uno per uno.

il DL Anti-frodi

Per cercare di limitare i tentativi di frode sulla cessione del credito derivato dal Superbonus i politici hanno introdotto il DL Anti Frodi (di cui parliamo qui). Come avrai già intuito questo si è rivelato un enorme pasticcio sul Superbonus dei nostri politici.

Prima di proseguire oltre infatti vogliamo sottolineare i dati riguardanti le frodi perpetrate ai tentativi dello stato tramite i crediti d’imposta “fasulli” o non conformi. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco citando i dati forniti dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, aveva chiarito infatti che al 110 è imputabile soltanto un piccola parte delle truffe, il 3%. Tutt’altro caso invece per quanto riguarda il bonus facciate al quale sono invece imputate il 46% del totale delle frodi.

D’altronde il DL Antifrodi sostanzialmente ha avuto l’effetto di allargare l’obbligo del visto di conformità a tutti le altre detrazioni fiscali per i lavori edilizi. A tutte le altre detrazioni, perché tale obbligo era già previsto dalla normativa del Superbonus, motivo per cui le frodi che interessano i crediti d’imposta della maxi-detrazione sono cosi poche.

La norma ha anche previsto nuovi poteri previsti per l’Agenzia del Fisco. Essa può sospendere fino a 30 giorni l’efficacia delle comunicazioni su cessioni del credito o su sconti in fattura se queste provengono da profili a rischio elevato. In questo modo l’Agenzia può ritagliarsi una finestra temporale per effettuare dei controlli preventivi sulle domande di cessione del credito ed evitare possibili frodi sul fisco italiano. Ulteriore tempo che va ad aggiungersi ai ritardi già verificatosi.

Considerato che le frodi sul Superbonus ammontano a solo al 3% del totale viene da chiedersi una cosa, la seguente. C’era davvero bisogno che questa normativa affliggesse il già complesso meccanismo della maxi-detrazione del 110 andando a complicare e rallentare ulteriormente le cose? 

La risposta non può che essere negativa. Il DL Antifrode è una legge che complica in modo sbagliato una norma che invece andava semplificata e snellita. L’effetto è stato quello di rallentare ulteriormente un meccanismo che permetteva alle imprese di lavorare serenamente . Un tassello fondamentale quest’ultimo che invece è stato messo a dura prova dall’entrata in vigore della norma. Insomma, un altro dei pasticci sul Superbonus dei nostri politici.

La cessione del credito alle banche

Se hai letto fino a questo punto avrai capito che il ruolo delle banche è fondamentale per il buon funzionamento del Superbonus 110%. Le imprese che anticipano le spese per lo svolgimento dei cantieri, se vogliono rientrare di queste spese hanno solo una strada: cedere il credito d’imposta a banche o istituti di credito in cambio di liquidità.

Ma le banche e gli istituti di credito sono disposte ad acquistare questi crediti?

Rispondere a questa domanda è di fondamentale importanza visto che le imprese, senza ottenere liquidità, non possono portare a avanti i cantieri. Anzi, molte imprese, vista l’impossibilità di liquidare i loro crediti d’imposta, hanno dovuto indebitarsi senza alcuna garanzia. Ecco perché in ultima analisi rischiano di fallire.

E’ evidente come banche ed istituti di credito, prima di acquistare il credito d’imposta, debbano trovare il giusto incentivo. Ciò è rappresentato dal guadagno che realizzano su quel 10% in più di aliquota fiscale. In sostanza, le banche acquistano crediti fiscali ad una cifra inferiore al loro reale valore realizzando un guadagno.

In un primo momento le banche hanno quindi acquistato molti di questi crediti, però poi in un secondo momento hanno praticamente smesso di farlo. Con il DL 13/2022 è stata infatti introdotta quella che viene definita come responsabilità in solido delle banche. In sostanza le banche sono obbligate ad effettuare dei controlli sui crediti che acquistano per verificarne la loro conformità. Qualora questi crediti non rispettino i requisiti, le banche potrebbero vedersi sequestrare le somme contenute nei loro cassetti fiscali.

Ciò ha quindi voluto significare ulteriori ritardi nella liquidazione di questi crediti oltre a generare dubbi in merito, come approfondiremo tra poco. Anche in questo caso quindi siamo di fronte ad un altro dei pasticci sul Superbonus.

La responsabilità in solido ed i dubbi delle banche

Visti tutti i pasticci sul Superbonus che sono stati commessi, oggi le banche chiedono e meritano più garanzie. Se le banche non acquistano più i crediti quindi non è tanto quindi un fatto di capienza fiscale massima raggiunta, quanto piuttosto un fatto di sicurezza.

I timori delle banche sono più che giustificati dall’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate, emanata in data 23 giugno. In questa circolare si fa riferimento alla loro responsabilità solidale, introdotta con il DL 13/2022. Tramite la stessa circolare viene richiesta alle banche un’elevata diligenza professionale per evitare di essere considerate responsabili in solido di eventuali illeciti. Il rischio è quello che le banche possano vedersi sequestrare le somme nei cassetti fiscali.

Il primo effetto di questa circolare è di fatto quello di subappaltare alle banche la maggior parte dei controlli sui credito d’imposta. Come potrete immaginare, fare ciò richiede un enorme quantità di tempo. Tempo che le imprese devono aspettare e che va ad aggiungersi ai ritardi di cui abbiamo parlato in precedenza. Ritardi che però sono delle Spade di Damocle sulla testa di imprese ed imprenditori che sono costretti o a fermare i lavori per mancanza di liquidità o ad indebitarsi ulteriormente con il rischio di fallire.

Ma i pasticci sul superbonus e sulla responsabilità solidale in questo caso dei nostri politici non finiscono qui.

Nel testo della circolare vengono individuate le casistiche per cui le banche devono esercitare la massima vigilanza. Alcuni di queste lasciano ampi margini di incertezza interpretativa. Soffermiamoci ad esempio sul criterio della incoerenza patrimoniale tra il valore dei lavori e la situazione reddituale e patrimoniale dei beneficiari. In parole povere le banche, ogni volta che acquistano un credito d’imposta, devono verificare che i crediti d’imposta detenuti da un’impresa siano adeguati al volume d’affari della stessa.

Ma come fanno a definire questa adeguatezza?

La realtà dei fatti è che non esistono linee guida specifiche in merito. Ogni banca può quindi definire da sola i criteri secondo cui operare. Il rischio è che un domani l’Agenzia delle Entrate possa giudicare questi criteri sbagliati e sequestrare loro le somme nei cassetti fiscali. Quello che è emerso è quindi l’ennesimo dei pasticci sul Superbonus 110%.

Le conseguenze dei pasticci dei politici italiani sul superbonus

La conseguenze più visibili di questi pasticci dei politici italiani sul superbonus è l’allargarsi a macchia d’olio del numero di cantieri bloccati ed il rischio di fallimento concreto per migliaia di imprese.

Parte di questi motivi sono è senza dubbio da ricercarsi nell’alto numero di richieste di materiali da costruzione o macchine per l’efficientamento energetico. Richieste che i produttori non sono in grado di soddisfare generando ulteriori ritardi.

Tuttavia il problema principale è un altro e riguarda proprio il meccanismo della cessione del credito.

Le banche non si sentono tutelate nell’acquisto di questi crediti, per i motivi che abbiamo appena analizzato, quindi non procedono oltre. Questo significa che le imprese che si sono fatte carico dell’anticipo economico da sborsare per dare il via ai cantieri non sanno quando possono far rientrare nelle loro casse questi soldi.  E finché le imprese non liquidano i propri crediti, non possono pagare i materiali ed i lavoratori e quindi bloccano i cantieri. Non solo, senza queste risorse, le imprese non possono saldare i debiti che hanno dovuto contrarre per lavorare. L’incertezza sui tempi di riscossione di queste risorse, ovvero sullo smobilizzo dei crediti d’imposta rischia di portare al fallimento queste imprese.

Il paradosso del Superbonus

A ben vedere quindi, i pasticci sul superbonus dei nostri politici hanno generato una situazione paradossale per almeno tre motivi:

  1. Anziché generare profitti grazie ai lavori del Superbonus ed uscire dalla crisi, le imprese edili hanno dovuto indebitarsi sempre di più rispetto a prima. La loro situazione è quindi peggiorata rispetto a prima;
  2. Molte delle imprese indebitate sono ricorse in maniera massiccia agli strumenti di garanzia offerti dallo stato gravando ulteriormente sulle casse italiane. Alla fine dei conti quindi, il tentativo dei nostri politici di far fare alla banche il ruolo da garante per la cessione del credito, si sta rivelando un pericoloso boomerang;
  3. A trarre vantaggio da questa situazione sono solo le banche anziché le imprese edili. Questo per almeno tre motivi. In primo luogo perché le banche hanno alzato i tassi d’interesse sui mutui concessi alle imprese per sostenere i costi dei cantieri. In secondo luogo perché con questa enorme necessità di liquidare il credito, le banche possono acquistarlo a cifre inferiori, anche della metà in alcuni casi, rispetto a prima. In terzo luogo perché non acquistando più i crediti d’imposta per i motivi che abbiamo analizzato in precedenza non si espongono a rischi.

Insomma, i nostri politici, seppur animati da buone intenzioni, non hanno saputo approfittarne per redigere una norma completa di portata “storica”. L’amara verità è che fin dall’approvazione del DL Rilancio, quasi tutti gli interventi migliorativi della norma, si sono rivelati dei pericolosi pasticci sul Superbonus.

Clamoroso dietrofront: arriva il blocco della cessione del credito da parte del governo Meloni!

Con il Decreto Legge n. 11 del 16 febbraio 2023 è arrivato il tanto temuto “Blocco della cessione del credito”. Ma cosa significa? Perché si è arrivati a tanto?

Leggi tutto quello che devi sapere sullo sto alla cessione del credito qui!

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Cosa c’è dietro al blocco dei cantieri superbonus?

Caos Superbonus: cosa c’è dietro al blocco dei cantieri superbonus?

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Una delle cause principali dietro al sempre più evidente blocco dei cantieri superbonus è senza dubbio la complessa situazione della cessione dei crediti. Inoltre c’è anche da considerare la penuria delle materie prime usate nell’ edilizia ed il loro incredibile rincaro.

Nel frattempo la scadenza del 30 settembre per le villette e le abitazioni unifamiliari si avvicina ed i cantieri che interessano questi edifici stentano a partire.

Sono già diverse le persone a riferirsi a questa situazione come alla “bolla” del Superbonus. La grande richiesta degli incentivi stanziati per volere dell’allora Governo Conte ha finito per superare ogni previsione causando la paralisi dei cantieri e lo stallo delle pratiche burocratiche.

A complicare ulteriormente le cose ci si è messo anche il legislatore che, a più riprese, è intervenuto sulla normativa con cambiamenti sostanziali, vedi quelli riguardanti la cessione del credito d’imposta. Cambiamenti che dietro apparenti semplificazioni delle procedure hanno nascosto in realtà ostacoli talvolta insormontabili per le piccole imprese che si sono visti negare la possibilità di liquidare i crediti d’imposta ottenuti.

È importante conoscere le modifiche del Decreto Legge 11/2023 sulla cessione del credito d’imposta. Leggi il nostro articolo aggiornato qui.

In questo approfondimento cercheremo sviscerare queste difficoltà e fare il punto della situazione sul blocco dei cantieri superbonus.

Il punto sulla cessione del credito

Come abbiamo appena accennato, la difficoltà più evidente che si cela dietro al blocco dei cantieri Superbonus è il blocco della cessione del credito. Una situazione che definire allarmante è ottimista.

Secondo le ultime stime, i crediti d’imposta bloccati ammonterebbero a oltre 5 miliardi euro. Il 70% di questi crediti riguarderebbe proprio quelli del Superbonus 110%. A questi numeri impressionanti vanno sommati poi quelli dei 25.000 cantieri aperti nel solo mese di luglio per un valore di 4,5 miliardi di euro. In totale, le opere ammesse a detrazione hanno raggiunto quota 38,8 miliardi di euro. Per quanto riguarda i lavori conclusi (28,2 miliardi) si parla invece di 31 miliardi di euro.

Chi ha dato il via ai propri cantieri per l’efficientamento energetico ed attualmente si trova con il cantiere superbonus bloccato rischia di non vedere mai concluse le opere. Ma non solo questo. Se ha già e ha già ricevuto dal Governo il credito a stato avanzamento lavori potrebbe anche dover restituire gli importi con tanto di sanzioni.

Quella a cui siamo di fronte è quindi una situazione paradossale. A farne le spese sono, come di solito purtroppo accade, i semplici contribuenti. Il blocco della cessione del credito ha due cause principali legate entrambe all’incredibile mole di richieste pervenute:

  • i frequenti interventi da parte del legislatore al fine di evitare truffe e abusi con conseguenti blocchi dell’intero meccanismo per permettere l’adeguamento alle nuove normative;
  • l’introduzione di una serie paletti per limitare l’esborso a carico delle casse pubbliche.

Come funziona la cessione del credito oggi

Ad oggi la dinamica che regola la cessione del credito d’imposta è la seguente:

  • il committente (ossia il privato cittadino che chiede l’agevolazione per predisporre i lavori) può scegliere se optare o meno per la cessione del credito. Qualora scelga questa possibilità può cedere il credito a un qualsiasi soggetto o cederlo all’impresa che effettua i lavori in cambio di uno sconto in fattura.
  • chi ha ottenuto il credito può utilizzarlo o cederlo a sua volta solo a un soggetto vigilato, sia esso una banca, un’assicurazione o una società finanziaria autorizzata. In sostanza può quindi monetizzare un credito che fino a quel momento era virtuale.
  • Successivamente, questo ente può esso stesso effettuare una sola cessione a un altro soggetto vigilato. Se chi riceve questa terza cessione è ancora una volta un istituto bancario, esso può cedere il credito un’ultima volta alla propria clientela.  La nuova legge introdotta dal DL 13/2022 prevede che venga data la possibilità alle banche di effettuare la quarta ed ultima cessione dei crediti ai loro clienti cosiddetti “professionali” e alle partite Iva (ne parliamo qui) indipendentemente dalla data in cui sia maturato il credito.

Cosa c’entra il blocco della cessione dei crediti con il blocco dei cantieri superbonus?

Fino a questo punto ci siamo limitati a spiegare che il meccanismo della cessione del credito ha subito dei cambiamenti epocali che ne hanno limitato fortemente l’applicazione. Da un primo momento in cui era illimitato, si è passati ad una sola cessione per poi arrivare alle attuali 3.

Ma cosa c’entra questo con il blocco dei cantieri superbonus?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo spiegare brevemente come funzionano i meccanismi dello sconto in fattura e della cessione del credito d’imposta. E’ infatti grazie a questi due meccanismi che il Superbonus 110% ha avuto un’enorme mole di richieste. Di fatto, grazie ad essi, si permette al committente dei lavori di non pagare praticamente nulla per i suoi interventi di efficientamento energetico.

Questi meccanismi prevedono la possibilità, per il committente, di cedere all’impresa esecutrice dei lavori il credito d’imposta maturato beneficiando della detrazione. In cambio, l’impresa esecutrice dei lavori, applicherà uno sconto in fattura di pari importo. L’impresa in questione quindi, ottenendo questo credito d’imposta può realizzare un guadagno superiore a quello che avrebbe ottenuto normalmente. Il credito che otterrebbe ammonta infatti al 110% della spesa sostenuta.

La realtà dei fatti è però ben diversa. Per realizzare i lavori previsti, le imprese devono anticipare alcune spese non proprio irrisorie. Il credito d’imposta loro riconosciuto è erogato solo dopo la fine dei lavori o quanto meno dopo il raggiungimento di determinati SAL (Stati Avanzamento Lavori). Tali imprese quindi si trovano a dover anticipare le spese di tasca loro.

Questo credito d’imposta deve poi essere ceduto, molto spesso alle banche, per ottenere liquidità. Ecco quindi che anche le banche hanno il loro tornaconto in tutto questo meccanismo anche se non è questo il punto. Il punto è che essendo impossibilitate a cedere il credito, le imprese non possono rendere liquidi i loro crediti d’imposta. Liquidità necessaria per ripagare l’anticipo sborsato per acquistare i materiali necessari allo svolgimento dei cantieri e realizzare il loro guadagno. Bloccando la possibilità di cedere i crediti d’imposta quindi, si sono di fatto bloccati i cantieri superbonus.

Carenza dei materiali  e caro prezzi

Dall’inizio del 2021 stiamo assistendo in Italia, ma anche nel resto d’Europa e del mondo, a una fortissima impennata dei prezzi dei prodotti usati in cantiere. È il cosiddetto “caro materiali”. Una sciagura che si unisce ad una grave carenza dei prodotti più comunemente utilizzati nell’edilizia. La crescita del costo dei materiali da costruzione sta diventando insostenibile e la mancanza dei prodotti costringe a rallentare, quando non addirittura a sospendere, i lavori già in corso.

Le cause di tutto ciò sono molte e in buona parte globali. Di certo la chiusura prolungata per Covid-19 di molte fabbriche che producono materie prime, in punti chiave del mondo, è pesata e pesa ancora molto. Ma ci sono stati anche altri episodi che hanno avuto una loro parte. Citiamo ad esempio il fatto che la Cina ha notevolmente aumentato l’approvvigionamento di materie prime, causando a tutto il resto del mondo una disponibilità limitata.

Questo scenario globale è accentuato in Italia dagli incentivi legati principalmente al superbonus 110%. Questa misura. varata senza prevedere meccanismi di controllo dei prezzi alla fonte e con scadenze temporali ha causato una sorta di isteria collettiva, che porta oggi alla mancanza, oltre che di materiale, perfino di manodopera specializzata e qualificata

Le conseguenze del blocco cantieri superbonus

Il blocco dei cantieri superbonus si è allargato oltre ogni misura dando origine ad un circolo vizioso. All’orizzonte di questo circolo vizioso c’è, il rischio concreto per chi ha ottenuto l’ok di dover pagare di tasca propria o, in alternativa, di doversi fermare definitivamente.

Come se non bastasse, il gran numero di richieste di lavori per l’efficientamento energetico pervenute ha provocato un’eccessiva richiesta di materiali da costruzione o macchine per l’efficientamento energetico. Eccessiva richiesta che i produttori non sono in grado di soddisfare generando ulteriori ritardi sulle tempistiche di cantiere già dilatate di suo per i fattori che abbiamo appena preso in considerazione.

Ma le conseguenze non sono solo per i beneficiari della detrazione: anche le imprese esecutrici dei lavori rischiano parecchio.

Sono le imprese ad essersi infatti fatte carico dell’anticipo economico da sborsare per dare il via ai cantieri. Anticipo che hanno sostenuto ma che con i crediti d’imposta bloccati non sanno quando possono far rientrare nelle loro casse. Conseguentemente, avendo utilizzato le risorse in questa maniera, non possono più utilizzarle per dare il via ad altri lavori. Ecco spiegata quindi anche un’altra causa del blocco cantieri superbonus.

Ma il vero problema è che l’incertezza sui tempi di riscossione di queste risorse, ovvero sullo smobilizzo dei crediti d’imposta rischia di portare al fallimento queste imprese. Succede quindi che le nostre imprese hanno i cassetti fiscali pieni di crediti senza però ottenere in cambio quella liquidità necessaria per affrontare le spese anticipate. In particolare, secondo CNA, sarebbero 33mila le imprese artigiane a rischio fallimento con una perdita totale di 150mila posti di lavoro nella filiera delle costruzioni. Il tutto a a causa del blocco della cessione dei crediti legati ai bonus edilizi che ha poi portato al blocco dei cantieri superbonus e degli altri ecobonus.

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Pompa di calore per termosifoni in ghisa: si può fare oppure no?

La pompa di calore per termosifoni in ghisa è una scelta efficiente oppure no? Scoprilo insieme ai nostri esperti

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Sono in molti gli installatori in giro per l’Italia ad affermare che la pompa di calore per i termosifoni in ghisa non funziona.

Ma è davvero così?

Se anche tu ti trovi in una situazione in cui stai valutando se installare o meno una pompa di calore professionale per riscaldare la tua abitazione ma hai i termosifoni in ghisa avrai sicuramente sentito l’affermazione qui sopra diverse volte.

In Italia infatti è palese come manchi una vera e propria cultura su come funzionino i riscaldamenti a pompa di calore. E’ quindi evidente come siano in molti a credere che le pompe di calore non siano appropriate per far funzionare i sistemi di riscaldamento, soprattutto quelli con i caloriferi in ghisa. In Italia infatti non c’è una scuola precisa che ti spiega come sfruttare al meglio i benefici di un sistema completamente autonomo. Come se non bastasse, le normative scritte, che devono rispettare i termotecnici, non sono fatte per ragionare con l’ottica delle pompe di calore. Un termotecnico tradizionale infatti è in grado di dirti solamente quanta energia serve per riscaldare la tua abitazione nella peggiore delle condizioni (ex legge 10/91).

Ma la pompa di calore serve più che altro a mantenere costante la temperatura in casa. In sostanza è come se il termotecnico ti dicesse quanta benzina consuma la tua automobile per andare da zero a cento, non quanta ne serve per mantenere la velocità raggiunta (che è sicuramente di meno).

Per questo abbiamo interpellato i nostri esperti a riguardo e quello che ne è emerso è sorprendente. In realtà far funzionare un sistema di riscaldamento a pompa di calore per termosifoni in ghisa è possibile. Ne parliamo qui di seguito.

Perché si afferma che la pompa di calore per termosifoni in ghisa non funziona?

Coloro che fanno parte della scuola che afferma che la pompa di calore per i termosifoni in ghisa non funziona sono coloro che cercano la pompa di calore che porti a 65° l’acqua nei termosifoni. Sono infatti convinti che se è ad una temperatura inferiore non può scaldare sufficientemente l’abitazione. Tuttavia non servono i 65° C per riscaldare gli ambienti, ne bastano molti meno.

Questo perché sostanzialmente per mantenere costante una temperatura all’interno di una stanza ci sono due soluzioni:

  • settare i termosifoni ad una temperatura altissima e far accendere e spegnere continuamente il sistema per mantenere la temperatura;
  • oppure trovare la temperatura più bassa possibile che serve per mantenere costante l’apporto di energia, abbassando il lavoro del generatore di calore.

Il lavoro ed il calcolo implicati dalla seconda soluzione sono abbastanza semplici per i tecnici preparati come i nostri anche se ai più sembra un lavoro impossibile. Per questo sono in molti ad optare per le soluzioni ibride quando invece, oggi, con un sistema intelligente di controllo delle temperature tramite attuatori automatici gestiti da remoto è possibile ottenere lo stesso risultato senza dover ristrutturare praticamente in toto il sistema di riscaldamento dell’abitazione.

Requisiti per pompa di calore e termosifoni a ghisa

Con quanto abbiamo appena affermato non vogliamo assolutamente affermare che tutti i sistemi a pompa di calore vanno bene i sistemi di riscaldamento con termosifoni in ghisa. Alla base del sistema di riscaldamento infatti ci deve essere una pompa di calore che risponda alle esigenze del riscaldamento. In commercio ne esistono davvero poche, però non significa che sia impossibile installare una pompa di calore per termosifoni in ghisa.

Questa non è un’operazione sempre possibile, ma è possibile sfruttarla abbastanza spesso. Soprattutto quando la casa ha degli impianti vecchi e poco performanti come i termosifoni in ghisa.

Oggi puoi tranquillamente eliminare la vecchia caldaia o fare a meno di legna e pellet. Basta scegliere una centrale termica fatta con una termopompa professionale, anche se hai i radiatori in ghisa. Una centrale termica efficiente, che sfrutta al 100% tutta l’energia prodotta dal sole e ti permette di dire addio per sempre combustibili fossili anche se hai i termosifoni in ghisa.

La pompa di calore deve essere in grado di lavorare costantemente con la temperatura di mandata dell’acqua nel circuito di riscaldamento da 45 a 55 gradi per offrire il giusto comfort agli occupanti di casa. L’importante quindi è trovare la giusta temperatura dell’acqua che scorre dentro i termosifoni giusta per mantenere temperature costanti intorno ai 20 e 21 gradi negli ambienti in cui sono posti. Ovviamente deve anche cambiare il modo di pensare a come distribuire l’acqua calda prodotta dalla centrale termica, come la sua progettazione per poter far funzionare un riscaldamento a pompa di calore per termosifoni in ghisa.

Requisiti per il funzionamento pompa di calore per termosifoni in ghisa

Come abbiamo visto, un impianto di riscaldamento che funziona con una pompa di calore per termosifoni in ghisa è realizzabile e funziona. Per essere efficiente però deve avere questi requisiti ed elementi:

  • Una termopompa professionale europea, ovvero una pompa di calore studiata per produrre acqua calda sanitaria a 50 o 55 gradi. Inoltre deve essere in grado di funzionare anche quando le temperature esterne sono veramente rigide, senza mai abbandonarti.
  • La progettazione di tutti i componenti all’interno della centrale termica deve essere fatta in modo da sfruttare ed ottimizzare al massimo i benefici delle energie rinnovabili. Per questo è necessario che la centrale termica abbia anche un serbatoio di accumulo per l’acqua tecnica ed uno per l’acqua calda sanitaria. Inoltre è altamente consigliato abbinare un impianto fotovoltaico domestico a questa tecnologia ed un batteria di accumulo in grado di stoccare gratuitamente l’energia del sole e riutilizzarla nel momento del bisogno.
  • Eseguire i lavori a regola dell’arte sfruttando tutti quei piccoli accorgimenti che possono solo che migliorare la resa della macchina. Ti consigliamo quindi di rivolgerti a degli esperti del settore per quanto riguarda l’installazione di un sistema di riscaldamento a pompa di calore per termosifoni in ghisa e quindi ottimizzare al massimo il tuo investimento.

Vuoi scoprire qualche informazione utile in più sul riscaldamento a pompa di calore? Non esitare a contattarci compilando il modulo che trovi qui di seguito.

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Come funziona un impianto a pannelli solari domestici?

Tutto quello che devi sapere su come funziona un impianto a pannelli solari domestici

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Oramai, mentre ci capita di passeggiare per le città o per le cittadine italiane, ci capita sempre più spesso di buttare l’occhio sui tetti delle abitazione o degli edifici che ne costellano le strade. A catturare l’attenzione dei nostri occhi sono i pannelli solari domestici che sono installati sui tetti di questi edifici che sembrano spuntare come funghi. Il trend di coloro che decidono di ricorrere a questa tecnologia infatti è in continua crescita e altrimenti non potrebbe essere. I recenti aumenti del costo dell’energia, così come gli incentivi per il fotovoltaico in vigore in questi anni (di cui parliamo qui), hanno fatto si che questa tecnologia si stia diffondendo sempre di più.

Ma come funziona un impianto a pannelli solari domestici? Perché è così vantaggioso?

Abbiamo cercato di fare il punto della situazione qui di seguito.

I componenti di un impianto a pannelli solari domestico

Il funzionamento di un impianto a pannelli solari domestici è abbastanza semplice tanto che è possibile intuirlo dalle parti di cui è composto.

Oltre ai pannelli fotovoltaici, detti anche moduli, che servono appunto a trasformare l’energia solare in energia elettrica solitamente è presente un inverter. I moduli fotovoltaici sono formati da celle, in genere costituite da silicio cristallino, ma comunque da materiali in grado di captare i raggi solari e veicolarli per un successivo utilizzo.

L’energia solare viene trasformata in corrente continua dai pannelli e trasmessa all’inverter. La corrente continua infatti, per alimentare gli elettrodomestici di casa tua dovrà essere trasformata in corrente alternata: ecco spiegato il perché della presenza di un inverter. Se questi sono i componenti principali di un impianto fotovoltaico domestico (leggi anche qui per approfondire) è pur vero che non sono gli unici.

Un impianto a pannelli solari domestici è composto anche da tutti quei sistemi di monitoraggio dell’energia prodotta, dai cavi elettrici di collegamento, oltre che dalla struttura su cui poggia per essere installato sul tetto di un edificio.

Tipi di impianto e funzionamento.

Quando parliamo di un impianto a pannelli solari domestici possiamo innanzitutto distinguere tra impianti “grid connected” e impianti “stand alone“. Nel primo caso si ha un collegamento dell’impianto alla rete di distribuzione elettrica ed è quello che avviene nella stra-grande maggioranza degli impianti. Una necessità quest’ultima che non può essere evitata soprattutto in assenza di una batteria di accumulo, visto che in determinati momenti l’impianto non è in grado di produrre energia elettrica. La seconda tipologia si riferisce ad utenza singola posta in genere in zone non fornite dalla normale rete di distribuzione, come la classica casa in montagna, la barca o un camper.

Esaminando più a fondo gli impianti fotovoltaici possiamo accennare ai pannelli solari domestici e non “orientabili“. Questi pannelli sono letteralmente in grado di seguire il sole durante il suo andamento giornaliero e perciò molto più efficienti rispetto ai classici pannelli fissi. Così facendo infatti aumentano sensibilmente la loro capacità di irraggiamento e quindi producono molto di più. Tuttavia non tutto è oro quello che luccica. I pannelli solari orientabili hanno infatti dei costi più elevati ed inoltre gli interventi di manutenzione potrebbero essere difficoltosi oltre che onerosi.

Esistono poi gli impianti “a concentrazione“, che si basano su sistemi di specchi e lenti che, correttamente posizionati, sappiamo aumentare l’efficienza diminuendo la superficie di pannello esposta alla luce solare.

In futuro potremo anche assistere a diverse varianti di pannelli solari domestici e non. Sono infatti in fase di sperimentazione moltissime varianti visto che l’utilizzo di fonti rinnovabili, in ambito domestico e non solo, garantisce un gran risparmio in bolletta, permette al consumatore di rispettare l’ambiente ed è inoltre incentivato da un buon numero di agevolazioni di tipo fiscale.

Come dimensionare l’impianto in base alle proprie esigenze d’utilizzo.

Comprendere quali siano le reali necessità energetiche della propria casa è il primo passo da compiere quando si pensa di acquistare un impianto fotovoltaico. In seguito potrai considerare considerare sia l’aspetto economico in senso stretto che quello tecnico e tecnologico. In altre parole, in base ai tuoi consumi, alla superficie che hai a disposizione per l’installazione dei pannelli solari domestici ed al suo orientamento puoi anche pensare di munirti di sistemi di accumulo. Questi non sono altro che batterie capaci di immagazzinare l’energia prodotta in eccesso durante la giornata dall’impianto.

Altri fattori da considerare sono il posizionamento dei pannelli solari domestici, la tipologia di inverter ed appunto gli incentivi a disposizione. L’attuale normativa porta gli utenti al dimensionamento accurato del proprio impianto che nella maggior parte dei casi ha una potenza compresa tra i 3 ed i 6 kW. Il consiglio che in genere diamo ai nostri clienti è è quello di non superare la soglia di energia abitualmente consumata in casa. Questo per il semplice fatto che la vendita derivante dall’immissione in rete del surplus energetico non sarebbe alla fine poi tanto conveniente. Cerchiamo quindi di orientare la scelta verso un sistema più piccolo ma magari dotato di sistema di accumulo. 

In questo discorso si inserisce la presa in considerazione dell’acquisto di una pompa di calore alimentata ad elettricità da acquistare per ottimizzare l’utilizzo dell’energia elettrica prodotta tramite i pannelli fotovoltaici. In questo modo si andrebbe a ridurre contestualmente la bolletta del gas, implementando la quota di elettricità utilizzata e proveniente dall’auto-produzione. Ovviamente in questo caso la potenza dell’impianto potrebbe essere rivista verso l’alto in modo da garantire un copertura totale dei consumi quando la p.d.c. è in funzione.

Costi e capacità di impianto a pannelli solari domestici ed incentivi

Attualmente un impianto a pannelli solari domestici costa circa 2000 euro per ogni kW di potenza. La cifra comprende installazione, consulenze, autorizzazioni e materiali. Per ogni kW di capacità è necessaria la disponibilità di circa 7 metri quadri di superficie per l’installazione.

Per fare alcuni esempi potremmo dire che un impianto da 3 kW ha all’incirca un costo totale, considerando anche l’iva al 10%, di 7000 euro, per un impianto da 6 kW le cifre si aggirerebbero attorno ai 13.000  e per uno da 9 kW attorno ai 18.000 euro.

I prezzi riportati qui sopra però non tengono conto delle agevolazioni fiscali previste per questo tipo di investimenti. Grazie alle agevolazioni fiscali infatti potrai risparmiare il 50% del costo dell’impianto. Queste infatti prevedono che sia possibile applicare, tramite lo sconto in fattura, un detrazione fiscale del 50% sul totale dei costi sostenuti. In questo modo non solo avrai un importante sconto sul costo totale ma potrai anche rientrare molto prima, considerati i costi dell’energia in continuo aumento, dell’investimento effettuato.

E ora, se vuoi scoprire qualche informazione utile in più sugli impianti a pannelli solari domestici, non esitare a contattarci compilando il modulo che trovi qui di seguito.

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