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Superbonus no, Direttiva Case Green Si! Quanto ci costa il cambio di rotta del Governo?

L’Eurocamera dà il via libera alla direttiva sulle case green ma con lo stop dello sconto in fattura i costi ricadono sui contribuenti. Spieghiamo brevemente cosa è ed in cosa consiste e quanto potrebbe costarci la nuova Direttiva Europea.

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In questi ultimi anni l‘Europarlamento è chiamato a votare sempre più spesso su politiche per l’ambiente dal forte peso ideologico. Ieri ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato la cosiddetta Direttiva sulla casa “green” e l’efficienza energetica degli edifici. Ad una prima impressione un voto in questo senso non può che essere positivo. Soprattutto vista l’esigenza di portare avanti ancora più decisamente la transizione ecologica abbattendo drasticamente le emissioni di gas inquinanti. Ad un esame più attento però la situazione non è affatto così rosea.

La Direttiva case green prescriverà agli Stati membri obiettivi di ristrutturazione degli immobili residenziali e non, al fine di aumentarne l’efficienza energetica. Il lasso di tempo previsto si estenderà fino al prossimo decennio. Precisiamo che tale direttiva ha ottenuto una discreta maggioranza visto che a Strasburgo è stata approvata con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti. A questo punto la palla passa in mano alla Commissione che è autorizzata a avviare trattative con il Consiglio, cioè gli Stati, per portare a compimento l’entrata in vigore della direttiva.

Si perché prima dell’entrata in vigore della direttiva case green c’è anche da capire su chi ricadranno le spese per la ristrutturazione di questi edifici oltre che gli effetti che una misura di questo tipo potrebbe provocare sull’economia. Visto l’attuale blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito (ne parliamo qui), la risposta ci appare scontata: i costi ricadranno sui proprietari degli edifici da riqualificare ovvero su di noi cittadini.

In questo articolo cerchiamo di fare il punto della situazione spiegando perché, dietro alle buone intenzioni, si nasconde un rischio grandissimo per il nostro paese per le nostre tasche.

Cosa prevede la nuova direttiva “case green”?

Secondo la Direttiva Europea “Case green” gli stati Stati membri dell’UE dovranno dare una decisa sterzata green soprattutto nel settore delle costruzioni. La nuova direttiva si fonda sul fatto che gli edifici sono classificati per impatto ambientale su una scala che va da A a G. 

Se quanto abbiamo affermato è sicuramente vero, è altrettanto vero però che non c’è una uniformità di criteri per individuare la classe energetica peggiore degli edifici tra i vari paesi europei. In altre parole, la classe G italiana, non corrisponde ad esempio a quella della Romania o della Polonia, ovvero da paesi dalle caratteristiche socio-economiche e storiche ben diverse dalle nostre. Questi paesi infatti molto probabilmente dovranno sostenere spese molto minori per riqualificare i loro edifici partendo da un livello di efficienza più basso.

A questo punto dobbiamo anche riportare che secondo la direttiva casa green gli edifici residenziali dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033. Come se non bastasse, ogni nuovo edificio dovrà essere realizzato a emissioni zero a partire dal 2028 se costruito da privati e dal 2026 se costruito per fini pubblici. 

Ci preme quindi sottolineare due aspetti che riguardano queste ultime diposizioni:

  • la strettezza dei tempi previsti per l’adeguamento alla direttiva, soprattutto per i nuovi edifici,
  • i costi che questo potrebbe riservare, soprattutto per l’Italia.

In merito a quest’ultimo aspetto, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che ha già chiesto:

“una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugiò delle famiglie italiane”.

La direttiva è un eccesso di zelo?

Il percorso della direttiva al parlamento Europeo non è stato semplice visto che ha spaccato la maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen. A favore, assieme ai Socialisti, sono andati i Verdi, parte dei Liberali di Renew Europe, la Sinistra Europea e piccoli frammenti di Partito Popolare Europeo. Contro, tutta la destra e parte del Ppe. Sembrerebbe quindi quasi che il Parlamento Europeo sia stato vittima di un idelogia iper-ambientalista che poco tiene in considerazione le vere necessità di cittadini e imprese.

L’efficientamento energetico degli edifici è un obiettivo condivisibile e di fondamentale importanza. Tuttavia tale obiettivo non può essere perseguito sulla pelle dei cittadini. In queste condizioni infatti, le spese per l’efficientamento energetico saranno a carico dei cittadini. Costoro dovrebbero farsi carico di esborsi ingenti per ottemperare agli obblighi della direttiva. I costi del materiale edilizio, ma non solo questi, che in questo momento sono sensibilmente più alti rispetto a qualche anno fa grazie al Superbonus, potrebbero infatti ulteriormente aumentare.

Quando si parla di transizione energetica, l’Unione Europea, ha la tendenza di mettere il carro davanti ai buoi. Non si ragiona in termini di percorsi fatti di obiettivi da raggiungere organizzati in base a priorità, ma si individua l’obiettivo finale senza avere idea di come raggiungerlo. E questo è molto pericoloso da un punto di vista economico, per i singoli paesi ma anche per tutti i cittadini europei.

Se da un lato si rischia la perdita di milioni di posti di lavoro a livello europeo, dall’altro si rischia un costo plurimiliardario per l’Italia che sarebbe comunque minore di quello di  Francia e Germania. La prospettiva aperta dalla direttiva “case green” è quindi complessa anche se c’è ancora da giocare la partita del Consiglio Europeo.

Quanto costa la follia delle case green?

A realizzare una stima dei costi che l’Italia dovrebbe sostenere qualora passasse così come la “Direttiva casa green” ci ha pensato Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili).

Secondo il suo rapporto, la spesa per le ristrutturazioni “green” della casa ammonta ad una cifra compresa tra 40-60 miliardi di euro. Precisiamo inoltre che questa stima non tiene in alcuna considerazione né i costi per eventuali mutui e finanziamenti in capo ai privati, nuove torsioni verso l’alto del prezzo delle materie prime e costi burocratici in capo a amministrazioni o cittadini per la ristrutturazione. Si tratta quindi di una stima prudenziale che considera un costo medio per ristrutturazione che ammonta a 20-25 mila euro.

Ance ha poi anche stimato il numero di immobili che servirà ristrutturare al netto delle esenzioni che il Partito Popolare Europeo ha promosso. Se approvate tali esenzioni riguardano gli edifici dei centri storici delle città, case di famiglie indigenti, luoghi di culto e costruzioni soggette a vincolo storico e culturale. In totale sono circa 230.000 edifici pubblici e non residenziali e 1,8 milioni di residenziali privati. In altre parole è come dire che fino al 2033, dovranno essere ultimati oltre 200.000 interventi su singoli edifici. Tutto questo per portare a una classe energetica di E entro il 2030 e D entro il 2033 gli oltre 2 milioni di immobili interessati.

Per capire la dimensione della sfida, Ance ricorda che, con il superbonus 110%, sono stati realizzati poco meno di 100.000 interventi nel 2021 e 260.000 nel 2022. La Direttiva prevede, quindi, che nei prossimi anni dovremo mantenere un ritmo, costante, simile a quello sperimentato nell’ultimo anno.

Ma non finisce qui. La vera minaccia è quella che riguarda la svalutazione degli immobili. Ovvero il bene che gli italiani hanno usato per anni come forma di investimento dei loro risparmi. Per fortuna le sanzioni per chi non avesse ottemperato a questo obbligo, come il divieto di vendere o affittare la casa che non avesse il bollino verde richiesto dall’Europa sono decadute. Tuttavia rimane concreto il rischio di deprezzamento degli immobili che non saranno riusciti a raggiungere la classe E entro il 2033. In altre parole, o si sostengono le spese necessarie per far salire di classe energetica casa propria con i nostri soldi, o la casa in cui viviamo subirà un crollo del proprio valore.

Le previsioni di ANCE

Il testo della Direttiva casa green ha diviso in due le opinioni sulle tempistiche entro cui effettuarla. C’è chi sostiene la necessità di accelerare i tempi della riqualificazione degli edifici e chi invece promuove un approccio più ‘soft’.

In ogni caso l’attuazione un simile disegno presuppone un enorme piano strategico che interessa non solo il settore dell’edilizia, ma l’intera catena del valore che tali interventi richiedono (materiali, impianti, servizi, finanza). In sostanza quello che si dovrebbe creare è un vero e proprio Piano europeo per la neutralità e l’indipendenza energetica che presupponga:

  • adeguate risorse pubbliche,
  • un sistema di finanziamenti accessibili alle famiglie,
  • progetto industriale in grado di ridurre i costi delle forniture e degli interventi 
  • regime fiscale che sappia assecondare la creazione di un polo industriale, italiano ed europeo, capace di diventare un punto di riferimento mondiale dell’efficienza energetica.

Accanto a tutto questo serve anche un sistema efficiente di cessione dei crediti fiscali (anche per percentuali inferiori al 110%). Tale meccanismo infatti non può mettere n discussione, la monetizzazione dei lavori eseguiti, con il risultato di bloccare qualsiasi ulteriore decisione di investimento. Per questo motivo, quello che farà la differenza tra un Piano concreto di miglioramento ambientale e un libro dei sogni è la decisione di Eurostat sui crediti fiscali. Come abbiamo scritto anche qui, vengono considerati come debito pubblico e quindi possono essere spalmati su più anni.

Cosa può fare adesso l’Italia?

Come abbiamo già anticipato, la partita decisiva si combatterà al Consiglio Europeo. Sarà infatti quest’ultimo, nei prossimi mesi, a decidere se vidimare la decisione della Commissione o proporre emendamenti.

Si tratta di una sede di dialogo non ostile all’Italia. Tra l’altro, in questa sede, possiamo anche puntare sulla coerenza tra l’esecutivo in patria e i voti dei partiti al Parlamento Europeo. Finlandia, Spagna e Olanda infatti hanno già mostrato diverse riserve per la direttiva che ritengono eccessivamente precipitosa. C’è quindi spazio per il nostro paese per proporre modifiche alla direttiva “case green”. Ad esempio potremo fare in modo che si allunghino i tempi o modifichino le soglie di esenzione per evitare un disastro industriale.

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Cessione del credito 2023: le regole dopo il Decreto blocca Cessioni

Cessione del credito 2023: il decreto “blocca cessioni” approvato pochi giorni fa stoppa definitivamente le nuove operazioni di cessioni del credito e sconto in fattura. Ecco le nuove regole

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Il dl 11/2023, decreto blocca cessioni, approvato d’urgenza nei giorni scorsi riscrive nuovamente le regole sulla cessione del credito 2023 e sullo sconto in fattura. In sostanza il nuovo decreto apporta delle modifiche sostanziali al vecchio articolo 121 del DL Rilancio.

A farne le spese sono così molti dei bonus fiscali attualmente in vigore per i quali era riconosciuta la possibilità di usufruire dello sconto in fattura in cambio della cessione del credito d’imposta maturato. Niente più Superbonus 110%, Bonus fotovoltaico al 60% o Bonus caldaia.

Ma è davvero così per tutti gli incentivi o ancora è possibile usufruire della cessione del credito 2023 in qualche modo?

Cessione del credito 2023: tutte le modifiche dopo il dl 11/2023 Blocca cessioni

Cessione del credito 2023: tutte le modifiche dopo il dl 11/2023 Blocca cessioni

Cessione del credito 2023, le modifiche del decreto blocca cessioni

I punti principali del decreto cessioni sono i seguenti:

  • stop agli enti locali all’acquisto dei crediti da Superbonus;
  • responsabilità solidale del cessionario;
  • stop alle nuove cessioni del credito e allo sconto in fattura;
  • stop anche al vecchio meccanismo di cessione dei crediti (dl 63/2013).

Di seguito analizziamo brevemente le novità una per una delle nuove regole per la cessione del credito 2023.

Cessione del credito 2023, stop all’acquisto dei crediti per gli enti locali

Regioni e province stavano iniziando a muoversi per provare a sbloccare il mercato dei crediti fiscali del 2023. In questo modo, pensavano di poter in qualche modo contribuire a sbloccare una serie di cantieri sospesi a causa proprio dell’impossibilità di cedere il credito d’imposta in cambio di liquidità e rilanciare il settore edilizio.

Con le nuove regole per la cessione del credito 2023 di fatto il governo introduce un divieto secco per comuni, province e regioni di acquistare crediti derivanti da bonus edilizi.

Stando alle parole della Premier Giorgia Meloni e del ministro dell’economia, questa misura sarebbe necessaria per evitare danni più grossi alle casse dello Stato. Se gli enti pubblici acquistassero questi crediti infatti, lo stato potrebbe rischiare di non avere neanche i fondi per la prossima manovra (ne avevamo parlato anche qui). In particolare, l’art. 1 comma 1 lett. a) prevede che:

ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le pubbliche amministrazioni […] non possono essere cessionari dei crediti di imposta derivanti dall’esercizio delle opzioni di cui al comma 1, lettere a) e b) dell’art. 121.

Responsabilità solidale del cessionario

Il decreto cessioni prova a sbloccare i crediti cosiddetti incagliati perimetrando la responsabilità solidale del cessionario in caso di truffa o dolo introducendo una serie di documenti per l’esonero della responsabilità dei cessionari.

In particolare, l’art. 1 comma 1 lett. b) prevede che il concorso nella violazione e la conseguente responsabilità in solido sono in ogni caso escluse per i cessionari che siano in possesso dei seguenti 9 documenti:

  • titolo edilizio oppure dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà nel caso di edilizia libera, in cui sia indicata la data di inizio dei lavori ed attestata la circostanza che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere rientrano tra quelli agevolabili e non necessitano di titolo;
  • notifica preliminare ASL oppure, nel caso di interventi per i quali tale notifica non è dovuta in base alla normativa vigente, dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che attesti tale circostanza;
  • visura catastale ante operam dell’immobile oggetto degli interventi, oppure, nel caso di immobili non ancora censiti, domanda di accatastamento;
  • fatture, ricevute o altri documenti comprovanti le spese sostenute, nonché documenti attestanti l’avvenuto pagamento delle spese medesime;
  • asseverazioni, quando obbligatorie per legge, dei requisiti tecnici degli interventi e di congruità delle relative spese, corredate da tutti gli allegati previsti dalla legge, rilasciate dai tecnici abilitati, con relative ricevute di presentazione e deposito presso i competenti uffici;
  • delibera condominiale di approvazione dei lavori e relativa tabella di ripartizione delle spese in caso di interventi su parti comuni;
  • nel caso di interventi di efficienza energetica: relazione tecnica (legge 10), APE / APE convenzionale, oppure dichiarazione sostitutiva che attesti la non necessità di tale documentazione;
  • visto di conformità rilasciato dal commercialista;
  • attestazione delle banche o istituti di credito che intervengono nelle cessioni di avvenuta segnalazione delle operazioni sospette (art. 35 dlgs 231/2007) o di astensione (art. 42 dlgs 231/2007).

Le nuove regole per la cessione del credito 2023 prevedono che solo il possesso di questi 9 documenti possa salvare il cessionario in caso di controlli e responsabilità accertate. Resta comunque da sciogliere il nodo del sequestro preventivo del credito.

Stop alle nuove cessioni del credito 2023 e allo sconto in fattura. Quali sono i bonus a farne le spese?

Analizziamo adesso quello che è il vero punto dolente delle nuove regole per la cessione del credito 2023 introdotte dal decreto blocca cessioni. La nuova normativa infatti prevede che dal 17 febbraio non è più possibile procedere con la cessione del credito né con lo sconto in fattura per i seguenti interventi (art. 121 c. 2):

  • recupero del patrimonio edilizio;
  • efficienza energetica;
  • misure antisismiche;
  • recupero o restauro della facciata;
  • installazione di impianti fotovoltaici;
  • colonnine di ricarica.

In altre parole, questo significa che fare le spese del decreto blocca cessioni nel 2023 sono i seguenti bonus:

  • superbonus
  • bonus ristrutturazione;
  • ecobonus;
  • sismabonus;
  • bonus facciate, non più accessibile per il 2023 ma i cui crediti sono ancora in circolazione;
  • detrazione per l’installazione degli impianti fotovoltaici;
  • detrazione per l’installazione delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici;
  • bonus barriere architettoniche

In pratica, questo significa che non è più possibile cedere il credito.

Nulla cambia invece per quanto riguarda bonus verde e bonus mobili per i quali non era cmq prevista la possibilità della cessione del credito.

Divieto di prima cessione di altri crediti fiscali: come funziona per le imprese?

Abbiamo visto come, sempre con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto n. 11/2023, non è più consentita la prima cessione di tutta una serie di crediti d’imposta, istituiti negli ultimi due anni. Abbiamo precedentemente preso in esami i crediti fiscali derivanti dai bonus edilizi. Ma non sono solo questi quelli modificati dalle nuove sulla cessione del credito 2023.

Il Dl blocca cessioni interviene anche sulle prime cessioni dei:

  • bonus energia per le imprese energivore e non, 
  • crediti per il settore della ristorazione, 
  • crediti relativi alla cosiddetta super Ace,
  • bonus concessi a favore delle imprese turistiche e per le agenzie di viaggio.

Restano fuori dalla tagliola introdotta dal comma 4 dell’articolo 2 del dl n. 11/2023 i crediti per i quali, prima del 16 febbraio 2023, sia stato stipulato un contratto di cessione avente data certa.

Quando sarà ancora possibile cedere il credito d’imposta?

Le nuove regole per la cessione del credito 2023 prevedono cmq alcune casistiche per le quali resta comunque possibile optare per questa possibilità. Le elenchiamo qui di seguito:

  • interventi Superbonus diversi da quelli effettuati dai condomìni (in sostanza le unifamiliari) per i quali sia già stata presentata la CILA-S (CILA-S entro il 16 febbraio 2023);
  • interventi effettuati dai condomìni per i quali sia stata adottata la delibera assembleare e risulti presentata la CILA-S (entro il 16 febbraio 2023);
  • interventi di demolizione e ricostruzione per i quali sia stata presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo (entro il 16 febbraio 2023).

Per tutti gli altri bonus invece, vale sempre la regola generale che è possibile cedere il credito solo per le CILAS presentate entro il 16 febbraio.

Cessione del credito, anche le vecchie regole sono abrogate!

A questo punto è lecito chiedersi se sarà più possibile usufruire dello sconto in fattura o cessione del credito secondo le regole previgenti al dl 34/2020. Si perché in realtà, questo meccanismo è stato introdotto ben prima del Decreto Rilancio ma in una delle tante modifiche dal dl 63/2013.

Ad un’attenta analisi del dl 11/2023 si nota che l’art. 2 all’ultimo comma 4 prevede espressamente l’abrogazione anche del vecchio meccanismo di cessione del credito che prevedeva che:

Per le spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica di cui al presente articolo, i soggetti che nell’anno precedente a quello di sostenimento delle spese si trovavano nelle condizioni di cui all’articolo 11, comma 2, e all’articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 5, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (incapienti, ndr) in luogo della detrazione possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, con la facoltà di successiva cessione del credito. Le modalità di attuazione delle disposizioni del presente comma sono definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Viene abrogato anche il punto 3.1. che prevedeva, inoltre, che;

a partire dal 1° gennaio 2020, unicamente per gli interventi di ristrutturazione importante di primo livello di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 26 giugno 2015, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015, […], per le parti comuni degli edifici condominiali, con un importo dei lavori pari o superiore a 200.000 euro, il soggetto avente diritto alle detrazioni può optare, in luogo dell’utilizzo diretto delle stesse, per un contributo di pari ammontare, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e a quest’ultimo rimborsato sotto forma di credito d’imposta da utilizzare esclusivamente in compensazione, in 5 quote annuali di pari importo, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza l’applicazione dei limiti di cui all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Il fornitore che ha effettuato gli interventi ha a sua volta facoltà di cedere il credito d’imposta ai propri fornitori di beni e servizi, con esclusione della possibilità di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi. Rimane in ogni caso esclusa la cessione ad istituti di credito e ad intermediari finanziari.

Anche il meccanismo di cessione del sismabonus è abrogato: l’art. 16 comma 1-quinquies. prevedeva che (interventi 75%/85%) che:

qualora gli interventi […] siano realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali, le detrazioni dall’imposta […] spettano, rispettivamente, nella misura del 75% (incremento di una classe di rischio sismico, ndr) e 85% (incremento di 2 o più classi di rischio sismico, ndr). Le predette detrazioni si applicano su un ammontare delle spese non superiore a euro 96.000 moltiplicato per il numero delle unità immobiliari di ciascun edificio. Per tali interventi, a decorrere dal 1º gennaio 2017, in luogo della detrazione i soggetti beneficiari possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, con la facoltà di successiva cessione del credito. Rimane esclusa la cessione ad istituti di credito e ad intermediari finanziari. Le modalità di attuazione del presente comma sono definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Conclusioni

Le nuove regole per la cessione del credito 2023 non fanno altro che complicare ulteriormente il quadro relativo ai bonus fiscali che già il Superbonus aveva complicato enormemente. Alla luce delle ultime novità introdotte orientarsi tra regole ed eccezioni per la cessione del credito e dello sconto in fattura è sempre più complicato. E il futuro del panorama normativo di riferimento, al centro di un forte dibattito, sembra essere destinato a complicarsi ancora di più.

Per il momento, in ogni caso, è sempre possibile usufruire dei bonus sopra elencati. Tuttavia si potrà beneficiarne solo in detrazione in dichiarazione dei redditi o in compensazione (leggi qui per approfondire) come avveniva fino a qualche anno fa.

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Blocco cessione del credito: chi sono i responsabili e perché lo hanno fatto?

Cosa c’è dietro al blocco della cessione del credito d’imposta del Superbonus? Chi è il responsabile di tutto ciò?

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Il tanto temuto stop alla cessione del credito d’imposta relativo ai bonus edilizi è alla fine arrivato tramite il Decreto Legge n. 11 del 16 febbraio 2023. Assieme al blocco della cessione del credito, si fermano anche definitivamente le altre modalità alternative di fruizione dei crediti fiscali, In particolare si fermano anche:

  • lo sconto in fattura, 
  • la possibilità, per le imprese, di fruire del credito d’imposta per il caro bollette.

Saranno salvi in ambito di Super bonus le abitazioni unifamiliari per le quali sia stata presentata la Cilas prima dell’entrata in vigore del provvedimento. Mentre per i condomini si guarderà la data della delibera. Per i lavori diversi dal 110% sarà essenziale avere richiesto il titolo abilitativo o iniziato i lavori prima dell’entrata in vigore del decreto.

Si introduce inoltre il divieto per le pubbliche amministrazioni di essere cessionaria di crediti d’imposta relativi agli incentivi fiscali maturati con tali tipologie di intervento.

Se questi sono in poche parole i punti principali attorno a cui si sviluppa il nuovo Decreto Legge, è altrettanto vero che le conseguenze di tutto ciò non possono archiviarsi in poche parole. Abbiamo quindi cercato di riassumere il più chiaramente possibile le motivazioni che hanno portato il legislatore ad approvare tali misure e le conseguenze che esse potrebbero portare.

E’ vero che il Superbonus costa 2.000 euro per ogni italiano?

Per motivare la scelta di bloccare il meccanismo di cessione dei crediti d’imposta il Ministro Giancarlo Giorgetti ha affermato che il superbonus è costato 2.000 euro per ogni italiano.

Un’affermazione del genere non può non avere delle conseguenze pesanti sull’opinione pubblica. Facendo un rapido calcolo, dal momento che in Italia ci sono 60 milioni di persone, il Superbonus sarebbe costato circa 120 miliardi di euro. In realtà, questa cifra non riguarda solo il Superbonus ma anche e soprattutto tutti gli altri bonus edilizi messi insieme.

Tuttavia, se volessimo comunque considerarla come un’affermazione corretta, sarebbe opportuno considerare tutti gli effetti positivi generati dal Superbonus. Effetti positivi analizzati nelle analisi di Nomisma, Censis, Ance, Centro Studi CNI, Federcepicostruzioni, Cresme e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

Soprattutto dall’ultimo report di Nomisma sarebbe emerso che i 71,8 miliardi euro investiti dallo Stato hanno generato:

  • un impatto economico complessivo sull’economia nazionale pari a 195,2 miliardi di euro di cui:
  • 87,7 miliardi di effetto diretto;
  • 39,6 miliardi di effetti indiretti;
  • 67,8 miliardi di indotto.
  • un risparmio medio in bolletta pari a 964 euro all’anno;
  • un incremento di 641.000 occupati nel settore delle costruzioni e di 351.000 occupati nei settori collegati.

Già nel 2022, l’Associazione Nazionale dei Commercialisti, aveva evidenziato come tramite il Superbonus l’effetto fiscale indotto dagli investimenti correlati al superbonus 110% è pari al 43,3% del costo lordo per lo Stato. In pratica, per ogni euro speso dallo Stato in bonus edilizi, ne ritornano sotto forma di maggiori imposte 43,3 centesimi, così che il costo netto per lo Stato è pari a 56,7 centesimi.

Le stime del Censis invece evidenziano come il gettito fiscale derivante dal Superbonus sia addirittura maggiore. Si stima infatti che possa ripagare circa il 70% della spesa a carico dello Stato per le opere di efficientamento sugli edifici. Ciò significa che 100 euro di spesa per Super ecobonus costerebbero effettivamente allo Stato 30 euro, ridimensionando in questo modo il valore reale del disavanzo generato dall’incentivo.

Dal credito d’imposta alla nascita di una nuova moneta fiscale

Dopo aver analizzato brevemente gli effetti positivi del Superbonus sull’economia, adesso proviamo a capire come mai il legislatore ha deciso per il blocco della cessione del credito d’imposta. Per farlo ricapitoliamo quali sono stati i principali cambiamenti apportati dal Decreto Rilancio.

Dopo l’approvazione di tale normativa in fatti i crediti fiscali hanno letteralmente cambiato funzione. Da una semplice detrazione fiscale (utilizzo in compensazione) sono diventati una vera e propria moneta fiscale. Il credito d’imposta generato dalla fruizione dei bonus edilizi infatti può essere ceduto diverse volte, a valori diversi rispetto al suo reale ammontare, diventando a tutti gli effetti il mezzo di pagamento delle stesse opere che andranno ad accrescere il valore del patrimonio del beneficiario.

Tale Decreto quindi ha avuto il vantaggio di sostenere l’economia e la ripresa su più fronti:

  • ampliamento della platea degli aventi diritto (superbonus anche per coloro che non hanno nel breve periodo imposte o contributi da compensare o si trovano nella cc. dd. “no tax area).
  • beneficiari della detrazione che possono effettuare uno o più interventi edilizi (accrescendo il valore del proprio fabbricato) senza pagare in denaro, o pagare solo in parte, il corrispettivo altrimenti dovuto.
  • sostegno alla domanda di imprese, fornitori e professionisti appartenenti al mondo dell’edilizia e dello sviluppo immobiliare;
  • nascita di un vero e proprio mercato della cessione del credito d’imposta dove si palesano ricavi per gli stessi cessionari che, pronti a liquidare il cedente, offrono prezzi di cessione sempre più accattivanti.

Il blocco della cessione del credito d’imposta è quindi da intendersi come un vero e proprio tentativo del blocco di questo mercato che si è venuto a creare attorno ai crediti fiscali. Ma come mai si è arrivati a tanto?

Blocco dei crediti d’imposta: la fondamentale Differenza tra deficit  e debito pubblico

Prima di proseguire oltre nella nostra analisi delle motivazioni che hanno portato al blocco del mercato dei crediti d’imposta è opportuno chiarire i concetti di deficit e debito pubblico. E’ necessario chiarire questo concetto per un semplice motivo: il credito d’imposta può essere infatti utilizzato in compensazione fiscale. Questo significa sostanzialmente che può essere utilizzato al posto di pagare l’ammontare dovuto di tasse all’Agenzia dell’Entrate. Ciò, genera quindi dei disallineamenti rispetto alle previsioni di incasso dell’erario. Da questo punto, facciamo un passo indietro e spieghiamo brevemente la differenza tra deficit e debito pubblico.

  • Il deficit o disavanzo pubblico è una voce che misura la situazione economica dello Stato di un Paese, per mezzo della differenza tra entrate e uscite in un determinato anno. Per questo è normalmente espresso in termini di percentuale del prodotto interno lordo (PIL) di quello stesso anno. Il deficit pubblico, essendo una differenza, può essere positivo o negativo. Se le spese sono maggiori delle entrate, la differenza (entrate – spese) sarà negativa. Viceversa, se il reddito è maggiore delle spese, la differenza (entrate – spese) sarà positiva. Quando la differenza è negativa si parla di deficit pubblico. Al contrario, quando la differenza è positiva si parla di avanzo pubblico.
  • Il debito pubblico invece è la variabile a cui viene aggiunto o sottratto il deficit o avanzo pubblico anno per anno. Il risultato è il debito pubblico totale.

Alcune considerazioni sulla compensazione dei crediti d’imposta

A questo punto è chiaro come il concetto di debito pubblico sia molto diverso da quello di credito d’imposta. Il debito pubblico infatti non è legato direttamente ai crediti fiscali, motivo per cui il blocco del credito d’imposta non è efficace nel contenimento del debito.

Tuttavia resta pur sempre vero che i crediti d’imposta usati in compensazione possono diminuire le entrate dello stato derivanti dalla riscossione delle tasse. Se diminuiscono le entrate dello stato, il deficit ne risentirà negativamente. Per far luce sulla questione è necessario però ribadire quanto affermato dai chiarimenti di Eurostat che di fatto affermano quanto abbiamo appena espresso.

Chiarimenti di eurostat sulla cessione del credito e debito pubblico: crediti pagabili e non pagabili

Sono arrivati oramai da qualche giorno i primi chiarimenti di Eurostat sui crediti d’imposta del superbonus 110% ovvero subito dopo l’aggiornamento del “Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico” redatto proprio dallo stesso ente.

In particolare, il credito d’imposta generato dal Superbonus non deve essere considerato come debito pubblico. L’impatto della misura ricade invece sul deficit a prescindere che la cessione dei crediti d’imposta possa classificarsi come “pagabile” o “non pagabile”. Si tratta, in altri termini, solo di collocamento temporale della spesa.

Luca Ascoli, direttore statistiche finanza pubblica di Eurostat, in audizione il 14 febbraio in Commissione Finanze e Tesoro del Senato, ha sottolineato che:

“La ‘pagabilita” o la ‘non pagabilita” di un credito non ha alcuna influenza né sul debito dello Stato, né sulla cifra finale totale da imputare come effetto sul deficit negli anni impattati da tale misura, ma solo sul profilo temporale dell’impatto sul deficit nel corso degli anni.

Per quanto riguarda il deficit vorrei sottolineare che l’impatto sul deficit dello Stato a lungo termine è esattamente lo stesso, identico, sia per il credito fiscale ‘pagabile’ che per quello ‘non pagabile’. Ciò che cambia è semplicemente il momento in cui ci sarà un impatto e non l’ammontare totale del costo della misura”.

Sempre secondo il direttore statistiche finanza pubblica di Eurostat, si è parlato di effetto enorme sul debito pubblico, stimato in 110/120 miliardi di euro in maniera impropria. Ciò si è verificato sostanzialmente perché è stato in primis il Direttore Generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Spalletta, a parlarne in maniera impropria. Ovviamente, tale narrazione sensazionalistica, è stata poi ripresa a piene mani dai giornali che hanno contribuito ad alimentare la narrazione del “Superbonus che costa 2000 euro ad ogni italiano” oppure quella del “Superbonus che fa lievitare il debito pubblico”. Ed è anche su questa spinta riportata dai giornali che si è arrivati al blocco della cessione del credito.

Credito fiscale pagabile e non pagabile

Il Manuale spiega anche cosa significa ‘credito fiscale pagabile’ e ‘credito fiscale non pagabile’:

  • il credito di imposta pagabile è quello per cui la spesa da parte dello Stato deve essere riconosciuta all’inizio. In altre parole è quello che nasce al momento dell’attività (avvio lavori edili);
  • il credito di imposta non pagabile è quello che non comporta una spesa immediata da parte dello Stato ma riduce le entrate fiscali dello Stato in futuro.

In Italia sarà l’Istat, entro il 1° marzo prossimo, a mettere nero su bianco le valutazioni del Governo e a quantificare il peso di tali somme per le casse pubbliche.

Stando alle attuali regole contabili quindi gli effetti del Superbonus sull’indebitamento netto si manifestano gradualmente, secondo la tempistica di fruizione dell’agevolazione. Nel biennio 2021-22 il disavanzo ha beneficiato in misura sostanziale delle maggiori entrate connesse con la crescita dell’attività economica nel comparto edilizio. Invece, i costi legati all’utilizzo dei crediti d’imposta maturati si registreranno invece in larga misura negli anni successivi ed è proprio per paura di questi costi che si è arrivati al blocco della cessione del credito.

Perché si è arrivati al blocco della cessione del credito?

Abbiamo quindi scoperto come un credito fiscale non incide mai sul debito pubblico ma solo sul deficit (la cui differenza è enorme). Cerchiamo di chiarire questo concetto con un esempio.

Immaginiamo che lo Stato decida di finanziare il superbonus pagando direttamente gli interventi. Considerato che non ha i soldi per finanziare i 65 miliardi di euro relativi agli investimenti finora ammessi a detrazione, dovrà farseli prestare da qualcuno. In questo caso contrae un prestito che si aggiunge al debito pubblico e sul quale deve pagare anche gli interessi.

Nel caso del Superbonus, però, la situazione è differente perché lo Stato non finanzia direttamente gli interventi ma chiede ai contribuenti di pagarseli per poi detrarli dalle tasse. La quota di superbonus annuale servirà a ridurre le tasse del contribuente in uno specifico anno e, quindi, anche le entrate annuali dello Stato. La possibilità di detrarre il costo dipende, però, dalla capienza fiscale del contribuente. Con la conseguenza che a bilancio la quota utilizzata si potrà conoscere solo dopo che il contribuente stesso l’avrà utilizzata.

Questo significa che cedendo il credito alle banche, saranno le banche ad utilizzarlo in compensazione e quindi per pagare meno tasse. Ma lo stato non potrà conoscere l’ammontare delle entrate a cui dovrebbe rinunciare prima che le banche la utilizzino. Quindi lo stato si troverebbe con disponibilità inferiori di quelle attese e potrebbe non riuscire a far fronte ai debiti contratti.

Ecco il vero motivo del blocco della cessione del credito che a tutti gli effetti assume i connotati di un regolamento di conti fra stato e banche. A farne le spese, come sempre, sono i privati cittadini beneficiari della detrazione e le imprese edili.

Le conseguenze del blocco della cessione del credito

Bloccare la cessione del credito significa innanzitutto consentire l’utilizzo del superbonus solo a chi possiede capacità economica e capienza fiscale, ovvero coloro che economicamente ne hanno meno bisogno.

Ma le conseguenze del blocco della cessione del credito sono devastanti per tutto il comparto edilizio. Come faranno le imprese ad ottenere la liquidità necessaria ad acquistare il materiale per proseguire i cantieri che hanno iniziato o pagare i propri dipendenti? 

Capiamo ovviamente l’esigenza di regolamentare e prevedere la quantità di entrate fiscali a cui lo stato dovrebbe. Ma nel frattempo questi soggetti appena elencati come dovrebbero comportarsi? O meglio, ce la faranno a resistere ancora di più alle pressioni economiche a cui sono sottoposti?

Quello che è certo al momento è solo una cosa. Ogni volta che viene toccato il Superbonus viene sconvolta tutto il comparto economico italiano e tutti cadono nel caos più totale. I nostri politici riusciranno mai a normalizzare questa situazione tanto travagliata? Probabilmente no. Quello che possiamo fare è solo aspettare e far sentire la nostra voce.

 

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La delibera Arera modifica il TICA: da oggi basta il modello unico fotovoltaico

La delibera Arera 674/2022/R/efr modifica il TICA: da oggi basta il modello unico fotovoltaico per l’installazione di impianti fino a 200 kW di potenza sul tetto della tua abitazione o condominio

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I prezzi di gas e luce hanno raggiunto vette impensabili fino a solo qualche anno fa. Il risultato è che sempre più famiglie italiane si trovano in difficoltà in quanto non riescono più ad arrivare a fine mese a causa di questi aumenti. Per questo motivo sono sempre più le persone che cercano di ricorrere a soluzioni alternative per cercare di ridurre i propri consumi e quindi le loro spese energetiche.

Fra queste soluzioni alternative, una delle più efficaci è senza dubbio ricorrere ad un impianto fotovoltaico in grado di utilizzare l’energia solare per produrre energia elettrica per il tuo fabbisogno energetico. Una soluzione, questa, per cui esistono anche diverse agevolazioni e bonus di cui parliamo meglio in questo approfondimento. Nonostante la presenza di questi incentivi e/o agevolazioni, tuttavia, installare un impianto fotovoltaico prevedeva, almeno fino a poco fa, un lungo processo autorizzativo e burocratico. Per questo, molte persone, seppur interessate ad installarne uno, non riuscivano a farlo perché si arenavano nei meandri della burocrazia.

Ma oggi non è più così! Installare i pannelli solari fotovoltaici, grazie alla Delibera 6 dicembre 674/2022/R/efr di Arera da adesso infatti sarà sempre più semplice. Tramite questa delibera infatti, Arera, estende la possibilità di ricorrere al modello unico per la richiesta per l’installazione e realizzazione, la connessione e l’esercizio di impianti solari fotovoltaici di potenza fino a 200KW e per quelli di microcogenerazione fino a 50 KWE. Il tutto è stato possibile grazie alla sostanziale modifica del TICA (testo integrato delle connessioni attive) che approfondiremo tra poco.

Ma come funziona di preciso la possibilità di ricorrere al modello unico semplificato per l’installazione di un impianto fotovoltaico? Ne parliamo qui di seguito.

La delibera del 6 dicembre 674/2022/R/efr

La delibera di Arera 674/2022/R/efr introduce quindi la possibilità di ricorrere al modello unico per l’installazione di impianti fotovoltaici fino a 200 kw. In questo modo, molti degli impianti fotovoltaici di piccola e media taglia potranno essere posizionati senza particolari noie burocratiche.

Per fare in modo di ottenere questa preziosa semplificazione, Arera ha di fatto modificato il TICA (testo integrato delle connessioni attive) che era in vigore. D’altronde era proprio lo stesso TICA a stabilire le modalità e connessioni tecnico economiche per la connessione alla rete degli impianti di produzione di energia elettrica. Con le modifiche introdotte da ARERA, adesso entra in vigore appunto il modello unico fotovoltaico.

Tale modello a sua volta si rifà a quanto stabilito dal dlgs 199/2021. In particolare, l ’art. 25, comma 3, lettere a) di tale decreto infatti prevedeva il ricorso ad un documento semplificato per gli impianti fotovoltaici fino a 50kW ai sensi dell’articolo 7-bis, comma 5 del dlgs 28/2011 per la realizzazione, la connessione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. La delibera quindi modifica questo limite di 50 kW innalzandolo adesso a 200 kW.

L’iter burocratico prima del Modello unico fotovoltaico fino a 200 kW semplificato

Prima di scoprire il modello unico semplificato per l’installazione di un impianto fotovoltaico, abbiamo brevemente ricostruito come funzionava l’iter burocratico prima della delibera di ARERA. Fino a questo momento infatti l’iter procedurale per richiedere l’installazione di un impianto fotovoltaico di potenza superiore ai 50 kW era complesso. Per l’installazione di questi impianti fotovoltaici era infatti necessario seguire gli step qui di seguito:

  1. autorizzazione da parte del comune che ospita l’edificio (dell’impresa o dell’abitazione) sulla quale andrà installato l’impianto;
  2. messa in sicurezza del cantiere e comunicazione al comune delle date di inizio e fine lavori;
  3. richiesta di connessione alla rete tramite il Distributore locale;
  4. registrazione al sito GSE e attivazione della convenzione per lo Scambio sul Posto (per cessione totale in assenza di un sistema di accumulo o parziale qualora presente);
  5. registrazione presso Terna S.p.A. società che censisce e gestisce l’anagrafica unica degli impianti fotovoltaici nazionali;
  6. invio della scheda dell’intervento ad ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) per la richiesta delle detrazioni fiscali in vigore.

Obbiettivo del modello unico

L’adozione del modello unico per l’installazione di impianti fotovoltaici fino a 200 kW avvenuta tramite la delibera di ARERA ha un scopo ben preciso.

Grazie a questo iter burocratico infatti sarà possibile seguire un iter più snello e facile e quindi di fatto agevolare il ricorso a questo tipo di impianti a fonti rinnovabili. Agevolando il ricorso all’energia ottenuta da fonti rinnovabili, di fatto si sta sostenendo quel percorso verso una maggior sostenibilità ambientale che passa attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra ed inquinanti. Sono questi ultimi infatti i responsabili principali dei recenti cambiamenti climatici in atto.

La delibera di ARERA quindi  definisce tutte le condizioni e le modalità per l’attuazione del modello unico semplificato per gli impianti solari fotovoltaici su edifici, strutture o manufatti ecc… di potenza nominale fino a 200 kW.

Esclusioni previste dal modello unico per l’installazione di impianti fotovoltaici

Le norme recentemente introdotte non cambiano tuttavia le modalità di esclusione per l’installazione di impianti fotovoltaici. Questo significa quindi che il modello unico non potrà essere utilizzato per gli impianti solari fotovoltaici installati in aree specifiche di cui all’articolo 136 comma1, lett. b) e c) del dlgs 42/2004. In altre parole non potranno avvalersi del modello unico gli impianti fotovoltaici che saranno realizzati su edifici ed aree come:

  • ville, giardini e parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
  • complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici.

Precisiamo però che possono tuttavia utilizzare tale modello unico semplificato gli edifici che rientrano nell’ultima casistica sopra esposta a patto che:

  • l’installazione dei pannelli solari non risulti visibile dagli spazi pubblici e dai punti di vista panoramici.

Struttura del modello unico fotovoltaico

Il modello unico fotovoltaico, presente nell’allegato 1 del decreto, è strutturato nel seguente modo:

  • Nella prima parte devono essere riportati i dati anagrafici del proprietario e dell’immobile o del bene oggetto dell’intervento;
  • Nella seconda parte invece il soggetto richiedente dovrà dichiarare di essere in possesso della documentazione rilasciata dal progettista circa la conformità dell’intervento;
  • Infine, nella terza parte dovranno essere indicati i dati funzionali alla connessione e all’accesso al mercato da parte degli impianti di produzione.

Campo di applicazione

Il modello unico semplificato per il fotovoltaico può essere utilizzato nei seguenti casi:

  • potenziamento di impianti esistenti,
  • modifica di impianti esistenti,
  • realizzazione di nuovi impianti,
  • connessione di impianti esistenti o appena realizzati,
  •  l’esercizio degli impianti di produzione.

I possessori di tali impianti e gli impianti stessi devono però rispettare le seguenti caratteristiche: 

  • i possessori devono essere clienti finali già dotati di punti di prelievo attivi per i quali siano necessari interventi di realizzazione, modifica o sostituzione dell’impianto per la connessione del gestore di rete, secondo le modalità individuate dall’ARERA;
  • gli impianti devono avere potenza nominale complessiva, al termine dell’installazione, non superiore a 200 kW;
  • tali impianti devono prevedere il ritiro dell’energia elettrica da parte del GSE.

Modalità operative

Un recente decreto del MiTE definisce le condizioni e le modalità tramite cui sarà possibile utilizzare il modello unico semplificato per l’installazione di un impianto fotovoltaico. Qui di seguito abbiamo quindi elencato quali sono i punti da seguire per trasmettere il modello correttamente.

Dovrà essere il richiedente a compilare e trasmettere in via informatica, al gestore il modello unico fotovoltaico. Costui inoltre, prima di iniziare i lavori, dovrà fornire i dati anagrafici richiesti presenti nell’allegato, prendendone visione e accettando le condizioni contrattuali definite dal gestore di rete per la gestione e i relativi costi, come definiti nel TICA.

Anche il gestore di rete ha degli obblighi. Costui infatti dovrà verificare che la domanda sia compatibile secondo la modalità definite da ARERA. A questo punto possono verificarsi diversi scenari.

In caso in cui il gestore esprima esito positivo, la pratica verrà avviata immediatamente e non è previsto l’emissione del preventivo per la connessione. In questo caso sarà il gestore ad informare il soggetto richiedente che provvederà a:

  • inviare copia del Modello Unico al Comune;
  • caricare i dati sul portale Gaudì;
  • inviare copia del Modello Unico al GSE;
  • addebitare al soggetto richiedente gli oneri per la connessione;
  • inviare copia delle ricevute delle comunicazione;
  • inviare i file dati in merito all’impianto alla Regione o alla Provincia autonoma, tramite PEC.

Invece, nel caso in cui sia stata accertata la necessità dei lavori complessi per la connessione ai sensi del TICA, il gestore dovrà informare il soggetto richiedente, specificandone i motivi.

Casa accade una volta terminati i lavori per l’impianto fotovoltaico?

Una volta terminati i lavori, il soggetto richiedente dovrà trasmettere al gestore di rete la II parte del Modello Unico prendendone visione e accettando il regolamento e il contratto previsto. Solo a seguito della ricezione di questa seconda parte del modello unico fotovoltaico, il gestore di rete potrà:

  • inviarne copia al comune;
  • inviare copia al GSE;
  • caricare i documenti sul portale GAUDI;
  • addebitare l’eventuale saldo di connessione;
  • inviare copia delle ricevute al soggetto richiedente.

Infine il soggetto che richiede tale agevolazione dovrà mettere a disposizione tutte le informazioni e la documentazione eventualmente richieste dai soggetti deputati, al controllo sulla veridicità delle dichiarazioni rese con il Modello Unico.

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Superbonus e CILAS: la Legge di Bilancio 2023 conterrà un rinvio bluff

Un emendamento del Governo al disegno di Legge di Bilancio 2023 sostituisce la disciplina regola i rapporti tra Superbonus e CILAS

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Anche questa volta, come del resto oramai prassi, sarà necessario attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della nuova Legge di Bilancio per comprendere al meglio le decisioni del Governo e del Parlamento in merito a Superbonus e CILAS per i condomini.

Sono in molti ad attendere chiarimenti in merito, come del resto avevamo anticipato anche qui, dal momento che il Decreto Aiuti Quater aveva individuato una nuova scadenza per la presentazione della CILAS.

Secondo il decreto Aiuti quater infatti la CILAS, assieme alla delibera assembleare dei lavori, sarebbe dovuta essere presentata entro lo scorso 25 novembre. Peccato però che tale decreto sia stato approvato nemmeno una settimana prima della scadenza non concedendo quindi abbastanza tempo per la presentazione della CILAS ai soggetti interessati. Da qui la richiesta di una proroga della scadenza per la presentazione della Cilas del Superbonus al 31 dicembre 2022.

Ma questa proroga  arriverà oppure no? Cosa conterrà la nuova Legge di Bilancio in merito a Superbonus e CILAS?

Abbiamo cercato di fare il punto della situazione in questo approfondimento.

Superbonus 110%: le eccezioni per i Condomini

Le recenti modifiche al Superbonus prevedono una riduzione della sua aliquota al 90% per condomini ed abitazioni che intendono effettuare gli interventi da essi previsti nel 2023 (ne parliamo meglio qui). Tuttavia sono previste alcune eccezioni, soprattutto per i condomini, che permetterebbero di continuare ad usufruire delle detrazioni maggiorate al 110%.

Pertanto, come potrai facilmente immaginare, il tema di Superbonus e CILAS è caldissimo. Purtroppo però il tema è vittima non tanto di ragionamenti tecnici ma di scelte di natura politica che, benché presentate come semplificazioni, rischiano di complicare ulteriormente le cose.

Ricapitolando brevemente la situazione, il Decreto Legge n. 176/2022 (Decreto Aiuti-quater), è intervenuto sul superbonus rimodulando l’aliquota fiscale per i soggetti beneficiari di cui all’art. 119, comma 9, lettera a) del Decreto Rilancio come:

  • condomini (anche minimi o assimilati tali per la presenza di parti comuni come definite all’art. 1117 del codice civile);
  • persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione, con riferimento agli interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche.

Per tali soggetti, il decreto ha previsto la rimodulazione dell’incentivo sulle spese sostenute nel 2023 che potranno godere di un’aliquota fiscale del 90% anziché 110%.

Tale rimodulazione tuttavia non si applicherebbe, sempre secondo il Decreto Aiuti quater:

  • agli interventi per i quali, alla data del 25 novembre 2022, risulti presentata la CILAS per il Superbonus. In caso di interventi su edifici condominiali, oltre alla CILAS è anche necessario presentare la delibera assembleare che abbia approvato l’esecuzione dei lavori risulti adottata in data antecedente al 25 novembre 2022;
  • agli interventi comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, per i quali alla medesima data del 25 novembre 2022, risulti presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo.

Superbonus e CILAS: le modifiche in Legge di Bilancio e le casistiche previste

Il Decreto aiuti quater approvato a novembre però, in quanto Decreto Legge, deve essere convertito in Legge entro un certo termine. Il termine ultimo è il 17 gennaio 2023: dopo questa data, se non sarà convertito in legge, le cose tornerebbero ad essere come prima.

Per questo motivo, il Governo ha deciso di anticipare i contenuti del comma che regola Superbonus e CILAS direttamente nella Legge di Bilancio 2023 presentando un emendamento che disporrebbe l’integrale riscrittura del Decreto Aiuti Quater. In particolare, l’emendamento disporrebbe delle eccezioni differenziate in funzione:

  • del soggetto beneficiario, ovvero se trattasi di condominio o altro;
  • della data della delibera di approvazione da parte dell’assemblea condominiale;
  • dell’intervento, ovvero se trattasi di demolizione e ricostruzione.

Eccezioni che, di fatto, limitano ulteriormente l’applicazione del Superbonus 110%. Avremo modo di esaminare meglio la situazione tra poco dal momento che esamineremo le casistiche previste per Superbonus e CILAS una per una.

Interventi diversi da quelli effettuati dai condomini

Se il soggetto beneficiario della detrazione è una persona fisica proprietaria o comproprietaria di un edificio composto da 2 a 4 unità immobiliari autonomamente accatastate dovrà:

  • presentare la la CILAS Superbonus entro il 25 novembre 2022.

In questo caso, chiaramente non si parla di delibera assembleare.

Condomini

Per quanto riguarda i condomini, anche nel caso in cui non sia obbligatorio nominarne l’amministratore, è prevista una doppia verifica da fare in funzione delle seguenti date:

  • data antecedente alla data di entrata in vigore del Decreto Aiuti-quater che, ricordiamo, è entrato in vigore il 19 novembre 2022;
  • 24 novembre 2022.

Procediamo adesso a descrivere i casi individuati in precedenza.

Nel caso in cui la a delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori risulta adottata in data antecedente al 19 novembre 2022, allora viene previsto un “mini-rinvio” per la CILAS Superbonus che potrà essere presentata entro il 31 dicembre 2022.

Nel caso in cui la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori risulta adottata tra il 19 novembre e il 24 novembre 2022, resta l’obbligo di presentazione della CILAS entro il 25 novembre 2022.

Un’importante disposizione che riguarda Superbonus e CILAS riguarda proprio la delibera assembleare. Tale delibera dovrà essere attestata con apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà rilasciata ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445:

  • dall’amministratore del condominio;
  • ovvero, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 1129 del codice civile, non vi sia l’obbligo di nominare l’amministratore e i condòminì non vi abbiano provveduto, dal condòmino che ha presieduto l’assemblea.

Superbonus e CILAS nel caso di demolizione e ricostruzione

Per quanto riguarda i tempi per gli interventi di demolizione e ricostruzione, invece le cose potrebbero essere più semplici. Se infatti l’art. 9, comma 2, lettera b) del Decreto Aiuti-quater stabilisce che a condizione di accesso al Superbonus 110% è che al 25 novembre 2022 “risulti presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo”, nell’emendamento della nuova Legge di Bilancio non sarà più così.

In questo emendamento viene infatti previsto che l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo possa essere presentata entro il 31 dicembre 2022.

Conclusioni

In questo approfondimento abbiamo cercato di raccogliere le informazioni necessarie a capire come Superbonus e Cilas potrebbero essere modificati dalla Legge di Bilancio 2023.

Tuttavia, la legge è ancora molto lontana dall’essere approvata. Ne consegue che quelle che abbiamo riportato fino a questo momento, sono solo supposizioni basate su documenti che non possono essere considerati affidabili al 100%. Le somme su Superbonus e Cilas potranno essere tirate, purtroppo, solo dopo l’approvazione della nuova Legge di Bilancio 2023.

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