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Superbonus case popolari: in arrivo la scadenza del 30 giugno

Superbonus case popolari in scadenza il 30 giugno 2023 ma con possibilità di prolungare i lavori fino a fine anno a specifiche condizioni. Vediamo quali in questo approfondimento

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Stai effettuando i lavori di ristrutturazione in una casa popolare?

Allora non perdere di vista la scadenza imminente del 30 giugno 2023 per beneficiare del Superbonus 110%. Questa opportunità ti consente di usufruire di una detrazione fiscale del 110% sui lavori eseguiti sulla tua abitazione, con la possibilità di concludere gli interventi già avviati entro la fine dell’anno.

È importante sottolineare che se raggiungi almeno il 60% di lavori eseguiti entro il 30 giugno, potrai beneficiare del superbonus anche sulle spese sostenute nella seconda metà dell’anno. Tuttavia, affinché la detrazione sia valida, è fondamentale completare tutti i lavori entro il 31 dicembre 2023.

Questa scadenza si accompagna ad alcune modifiche normative che sono state introdotte nel corso dell’ultimo anno (scopri di più qui), il che rende necessario tenersi aggiornati sulle ultime disposizioni. Non lasciare scappare questa opportunità di risparmio significativo e di valorizzazione della tua casa popolare. Assicurati di sfruttare al massimo il Superbonus 110% entro la scadenza del 30 giugno 2023.

Continua a leggere per scoprire di più!

Superbonus in scadenza il 30 giugno 2023 per le case popolari

Nel calendario delle scadenze legate alla fruizione del superbonus case popolari, quella del 30 giugno 2023 riveste un’importanza cruciale. Questa data limite riguarda le case popolari e le cooperative di abitazione a proprietà indivisa, in conformità con quanto stabilito dall’articolo 119, comma 8-bis, del decreto legge n. 34/2020.

È importante notare che questa scadenza, seppur parzialmente mobile, può beneficiare di un prolungamento residuale di sei mesi, ma solo in determinate condizioni.

Se entro il 30 giugno, sarà raggiunto uno stato di avanzamento dei lavori pari almeno al 60% dell’intervento complessivo, sarà possibile usufruire della proroga del superbonus fino al 31 dicembre 2023.

Questa condizione agevola anche coloro che, parallelamente all’esecuzione dei lavori sul condominio popolare, hanno avviato o intendono effettuare interventi sulla propria abitazione. La proroga condizionata al 31 dicembre si applica, infatti, anche agli interventi effettuati dalle persone fisiche sulle singole unità immobiliari all’interno dell’edificio.

Superbonus case popolari fino al 31 dicembre 2023 con SAL del 60 per cento entro giugno

E’ anche importante tenere presente la scadenza imminente del 30 giugno 2023. Questa data assume un ruolo cruciale nella valutazione dei beneficiari della proroga semestrale del superbonus case popolari.

Ecco cosa potrebbe accadere:

  1. Non raggiungimento del requisito del SAL del 60% entro il 30 giugno 2023: Se non completi almeno il 60% dei lavori entro questa data, perderai l’opportunità di beneficiare del superbonus del 110%. Tuttavia, potrai ancora usufruire delle detrazioni fiscali ordinarie per completare l’intervento programmato, sia per i lavori sulle case popolari che per quelli sulle abitazioni singole.
  2. Rispetto del requisito dello stato di avanzamento lavori del 60% entro la fine del mese: Se, invece, raggiungi almeno il 60% di progresso dei lavori entro il termine stabilito, potrai beneficiare della proroga fino al 31 dicembre 2023. Questa proroga ti consentirà di fruire del superbonus per completare l’intervento sulla casa popolare e per i lavori sugli appartamenti singoli.

Nel SAL del 60 per cento si considera l’intervento complessivo

A questo punto è fondamentale comprendere come viene calcolato il SAL (Stato di Avanzamento Lavori) del 60% per il superbonus case popolari. Questo criterio di valutazione, che deve essere raggiunto entro la scadenza del 30 giugno 2023, tiene conto dell’intervento complessivo, inclusi lavori che potrebbero non rientrare nel superbonus del 110%.

In altre parole, il calcolo del SAL del 60% considera tutti gli interventi previsti, anche quelli che non rientrano nella detrazione fiscale del 110%. Questo approccio estensivo permette di includere l’insieme completo dei lavori programmatisi, diventando una vera e propria “ancora di salvezza” per i cantieri che hanno subito ritardi a causa delle continue modifiche al superbonus introdotte nell’ultimo anno.

Quindi, se stai portando avanti diversi tipi di interventi all’interno delle case popolari, puoi tenerli in considerazione per il calcolo complessivo del SAL del 60%. Questo ti darà l’opportunità di rientrare nella proroga a fine anno e continuare a beneficiare delle agevolazioni fiscali offerte dal superbonus.

Ottieni il massimo dal Superbonus 110% con l’esperienza di Valore Energia

Valore Energia, è specializzata nelle pratiche relative al Superbonus 110%, è pronta ad aiutarti a sfruttare al meglio questa detrazione fiscale straordinaria.

Grazie alla competenza approfondita e alla conoscenza delle normative dei nostri esperti, siamo in grado di fornirti consulenza professionale per guidarti passo dopo passo nella procedura di richiesta e fruizione del Superbonus.

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Inoltre, una volta compilato il modulo, avrai la possibilità di scaricare gratuitamente la nostra guida al Superbonus 110% scritta direttamente dagli esperti di Valore Energia. Questa guida completa ti fornirà tutte le informazioni essenziali, consigli pratici e linee guida dettagliate per massimizzare i benefici del Superbonus per la tua abitazione.

Non perdere l’opportunità di ottenere il massimo risparmio fiscale e migliorare la tua casa grazie al Superbonus 110%. Affidati all’esperienza e alla professionalità di Valore Energia. Compila il modulo in fondo alla pagina e inizia il tuo percorso verso un’abitazione più efficiente ed ecocompatibile.

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Scadenza unifamiliari superbonus: arriva la proroga al 30 settembre 2023

Finalmente è arrivato il via libera della commissione Finanze della camera al decreto sui crediti incagliati del superbonus e sulla proroga della scadenza unifamiliari al 30 settembre 2023.

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Il Superbonus al 110 per cento ha una nuova data di scadenza per le unifamiliari, anche se non per tutti.

In più, grazie al via libera della commissione Finanze della Camera al decreto sui crediti del Superbonus c’è la possibilità di poter spalmare su più anni le detrazioni. In particolare è prevista la possibilità di detrarre le spese sostenute fino a dieci 10 anziché 4. Di fatto quindi sono state raccolte le indicazioni del ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti.

Ma le novità non si fermano qui. Sarà infatti possibile usufruire di cessioni e sconti in fattura grazie a una sanatoria.

Abbiamo quindi deciso di approfondire l’argomento della proroga scadenza unifamiliari e della tempistica della detrazione fiscale in questo articolo. In questo modo cerchiamo di spiegare meglio quanto approvato dalla commissione Finanze della Camera e chiarire tutti gli eventuali dubbi in merito.

Scadenza unifamiliari superbonus prorogata al 30 settembre 2023

La scadenza del superbonus per villette e abitazioni unifamiliari, attualmente fissata al 31 marzo, sarà rinviata al 30 settembre 2023.  Per l’ufficialità però ci sarà da attendere il testo della legge di conversione del decreto 11/2023 in Gazzetta Ufficiale anche se ieri è stato votato l’emendamento in camera dei Deputati.

A beneficiare della nuova scadenza unifamiliari superbonus saranno i contribuenti che svolgano interventi che rientrano nell’ambito del superbonus su abitazioni unifamiliari e villette. L’importante è però che, alla data del 30 settembre 2022, abbiano realizzato almeno il 30 per cento dei lavori. La misura quindi sarà adottata esclusivamente pensando a coloro i quali sono in fase avanzata dei lavori. Le regole invece sono state riscritte per chi ha intenzione di iniziarne di nuovi (ne parliamo qui).

Ma cosa comporta questa proroga scadenza unifamiliari superonus?

Il rinvio della scadenza per le unifamiliari, su cui è stata trovata ampia convergenza dalle varie parti politiche, permetterà ai contribuenti di avere più tempo per i pagamenti tramite bonifico della conclusione dei lavori. Tempo prezioso visto che la conclusione dei cantieri a causa della mancanza di materie prime e di liquidità ha subito nella maggior parte dei casi enormi slittamenti temporali.

Cosa cambia per lo sconto in fattura e la cessione del credito?

La proroga scadenza unifamiliari non riguarda invece le modalità di fruizione del superbonus alternative alla detrazione in dichiarazione dei redditi. Non è stato prorogato il termine per la comunicazione della comunicazione all’Agenzia delle Entrate della cessione del credito e dello sconto in fattura. Il termine per chi ha realizzato interventi che rientrano nelle agevolazioni edilizie ed ha sostenuto le spese nel 2022 rimane infatti fisso al 31 marzo 2023.

Tuttavia, per salvare le cessioni del 2022, c’ una nuova possibilità. Coloro che non avranno ha concluso il contratto di cessione entro il 31 marzo potranno comunque effettuare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate con la ‘remissione in bonis‘.. In altre parole, potranno usufruire comunque della cessione del credito entro il 30 novembre, pagando una sanzione di 250 euro.

Cessione e sconto in fattura restano per però per le seguenti casistiche:

  • eliminazione delle barriere architettoniche
  • per gli istituti per le case popolari (Iacp), le onlus e il terzo settore
  • lavori su immobili colpiti da eventi sismici e anche per l’alluvione delle Marche.

Allargato anche a tutti i cessionari che acquistano crediti da una banca lo scudo dalla responsabilità in solido per chi acquista i crediti del superbonus.

Sblocco dei crediti incagliati

La proroga scadenza unifamiliari superbonus arriva insieme alla possibilità di smaltire la montagna di 19 miliardi di crediti bloccati del superbonus. Le grandi società pubbliche, hanno infatti convinte banche e istituzioni a far ripartire le acquisizione dei crediti dopo anche l’approvazione del Decreto Blocca Cessioni.

Un doppio canale che si è concretizzato grazie anche alle novità introdotte nel decreto superbonus che secondo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti dovrebbe portare l’arrivo di un veicolo atto a ciò dopo che hanno proceduto ad individuare un  quadro di maggiori certezze che abbiamo dato sotto il profilo giuridico per l’acquisto di questi crediti. Il tutto si dovrebbe concretizzare con la creazione di un veicolo atto a ciò che è stato possibile pensare solo dopo:

“l’elaborazione di un sistema, una specie di piattaforma, che dovrebbe in qualche modo permettere di smaltire tutto l’arretrato”.

Escluso invece il ricorso agli F24 per la compensazione orizzontale dei crediti. Il governo ha chiuso su questo con le dichiarazioni del sottosegretario Federico Freni che ha spiegato che  il loro utilizzo genererebbe sostanziali e rilevantissimi problemi di cassa.

Detrazione in 10 anni

Non solo una proroga scadenza unifamiliari del superbonus ma anche una proroga delle tempistiche entro cui fruire della detrazione in dichiarazione dei redditi. La tempistica è stata infatti oggetto di ipotesi che la vorrebbero estendere a 10 anni invece che a 4. In questo modo si aiuterebbero tutti i soggetti che hanno redditi più bassi o quindi con minore capienza fiscale. In particolare, tramite le parole del ministro Giorgetti, il governo apre alla possibilità anche per i privati di spalmare su un numero maggior di anni la detrazione:

 “Io sono assolutamente favorevole al sistema delle detrazioni: 5, 10 anche 20 anni”.

Il sottosegretario all’economia Federico Freni ha poi annunciato che la modifica stava per essere depositata precisando però al tempo stesso che le persone interessate da questa modifica rappresentano di fatto “numeri residuali”.

Compila il modulo contatti che trovi qui sotto per rimanere sempre aggiornato sulle ultime novità in merito al superbonus 110% ed alla proroga scadenza unifamiliari!

 

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Superbonus no, Direttiva Case Green Si! Quanto ci costa il cambio di rotta del Governo?

L’Eurocamera dà il via libera alla direttiva sulle case green ma con lo stop dello sconto in fattura i costi ricadono sui contribuenti. Spieghiamo brevemente cosa è ed in cosa consiste e quanto potrebbe costarci la nuova Direttiva Europea.

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In questi ultimi anni l‘Europarlamento è chiamato a votare sempre più spesso su politiche per l’ambiente dal forte peso ideologico. Ieri ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato la cosiddetta Direttiva sulla casa “green” e l’efficienza energetica degli edifici. Ad una prima impressione un voto in questo senso non può che essere positivo. Soprattutto vista l’esigenza di portare avanti ancora più decisamente la transizione ecologica abbattendo drasticamente le emissioni di gas inquinanti. Ad un esame più attento però la situazione non è affatto così rosea.

La Direttiva case green prescriverà agli Stati membri obiettivi di ristrutturazione degli immobili residenziali e non, al fine di aumentarne l’efficienza energetica. Il lasso di tempo previsto si estenderà fino al prossimo decennio. Precisiamo che tale direttiva ha ottenuto una discreta maggioranza visto che a Strasburgo è stata approvata con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti. A questo punto la palla passa in mano alla Commissione che è autorizzata a avviare trattative con il Consiglio, cioè gli Stati, per portare a compimento l’entrata in vigore della direttiva.

Si perché prima dell’entrata in vigore della direttiva case green c’è anche da capire su chi ricadranno le spese per la ristrutturazione di questi edifici oltre che gli effetti che una misura di questo tipo potrebbe provocare sull’economia. Visto l’attuale blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito (ne parliamo qui), la risposta ci appare scontata: i costi ricadranno sui proprietari degli edifici da riqualificare ovvero su di noi cittadini.

In questo articolo cerchiamo di fare il punto della situazione spiegando perché, dietro alle buone intenzioni, si nasconde un rischio grandissimo per il nostro paese per le nostre tasche.

Cosa prevede la nuova direttiva “case green”?

Secondo la Direttiva Europea “Case green” gli stati Stati membri dell’UE dovranno dare una decisa sterzata green soprattutto nel settore delle costruzioni. La nuova direttiva si fonda sul fatto che gli edifici sono classificati per impatto ambientale su una scala che va da A a G. 

Se quanto abbiamo affermato è sicuramente vero, è altrettanto vero però che non c’è una uniformità di criteri per individuare la classe energetica peggiore degli edifici tra i vari paesi europei. In altre parole, la classe G italiana, non corrisponde ad esempio a quella della Romania o della Polonia, ovvero da paesi dalle caratteristiche socio-economiche e storiche ben diverse dalle nostre. Questi paesi infatti molto probabilmente dovranno sostenere spese molto minori per riqualificare i loro edifici partendo da un livello di efficienza più basso.

A questo punto dobbiamo anche riportare che secondo la direttiva casa green gli edifici residenziali dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033. Come se non bastasse, ogni nuovo edificio dovrà essere realizzato a emissioni zero a partire dal 2028 se costruito da privati e dal 2026 se costruito per fini pubblici. 

Ci preme quindi sottolineare due aspetti che riguardano queste ultime diposizioni:

  • la strettezza dei tempi previsti per l’adeguamento alla direttiva, soprattutto per i nuovi edifici,
  • i costi che questo potrebbe riservare, soprattutto per l’Italia.

In merito a quest’ultimo aspetto, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che ha già chiesto:

“una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugiò delle famiglie italiane”.

La direttiva è un eccesso di zelo?

Il percorso della direttiva al parlamento Europeo non è stato semplice visto che ha spaccato la maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen. A favore, assieme ai Socialisti, sono andati i Verdi, parte dei Liberali di Renew Europe, la Sinistra Europea e piccoli frammenti di Partito Popolare Europeo. Contro, tutta la destra e parte del Ppe. Sembrerebbe quindi quasi che il Parlamento Europeo sia stato vittima di un idelogia iper-ambientalista che poco tiene in considerazione le vere necessità di cittadini e imprese.

L’efficientamento energetico degli edifici è un obiettivo condivisibile e di fondamentale importanza. Tuttavia tale obiettivo non può essere perseguito sulla pelle dei cittadini. In queste condizioni infatti, le spese per l’efficientamento energetico saranno a carico dei cittadini. Costoro dovrebbero farsi carico di esborsi ingenti per ottemperare agli obblighi della direttiva. I costi del materiale edilizio, ma non solo questi, che in questo momento sono sensibilmente più alti rispetto a qualche anno fa grazie al Superbonus, potrebbero infatti ulteriormente aumentare.

Quando si parla di transizione energetica, l’Unione Europea, ha la tendenza di mettere il carro davanti ai buoi. Non si ragiona in termini di percorsi fatti di obiettivi da raggiungere organizzati in base a priorità, ma si individua l’obiettivo finale senza avere idea di come raggiungerlo. E questo è molto pericoloso da un punto di vista economico, per i singoli paesi ma anche per tutti i cittadini europei.

Se da un lato si rischia la perdita di milioni di posti di lavoro a livello europeo, dall’altro si rischia un costo plurimiliardario per l’Italia che sarebbe comunque minore di quello di  Francia e Germania. La prospettiva aperta dalla direttiva “case green” è quindi complessa anche se c’è ancora da giocare la partita del Consiglio Europeo.

Quanto costa la follia delle case green?

A realizzare una stima dei costi che l’Italia dovrebbe sostenere qualora passasse così come la “Direttiva casa green” ci ha pensato Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili).

Secondo il suo rapporto, la spesa per le ristrutturazioni “green” della casa ammonta ad una cifra compresa tra 40-60 miliardi di euro. Precisiamo inoltre che questa stima non tiene in alcuna considerazione né i costi per eventuali mutui e finanziamenti in capo ai privati, nuove torsioni verso l’alto del prezzo delle materie prime e costi burocratici in capo a amministrazioni o cittadini per la ristrutturazione. Si tratta quindi di una stima prudenziale che considera un costo medio per ristrutturazione che ammonta a 20-25 mila euro.

Ance ha poi anche stimato il numero di immobili che servirà ristrutturare al netto delle esenzioni che il Partito Popolare Europeo ha promosso. Se approvate tali esenzioni riguardano gli edifici dei centri storici delle città, case di famiglie indigenti, luoghi di culto e costruzioni soggette a vincolo storico e culturale. In totale sono circa 230.000 edifici pubblici e non residenziali e 1,8 milioni di residenziali privati. In altre parole è come dire che fino al 2033, dovranno essere ultimati oltre 200.000 interventi su singoli edifici. Tutto questo per portare a una classe energetica di E entro il 2030 e D entro il 2033 gli oltre 2 milioni di immobili interessati.

Per capire la dimensione della sfida, Ance ricorda che, con il superbonus 110%, sono stati realizzati poco meno di 100.000 interventi nel 2021 e 260.000 nel 2022. La Direttiva prevede, quindi, che nei prossimi anni dovremo mantenere un ritmo, costante, simile a quello sperimentato nell’ultimo anno.

Ma non finisce qui. La vera minaccia è quella che riguarda la svalutazione degli immobili. Ovvero il bene che gli italiani hanno usato per anni come forma di investimento dei loro risparmi. Per fortuna le sanzioni per chi non avesse ottemperato a questo obbligo, come il divieto di vendere o affittare la casa che non avesse il bollino verde richiesto dall’Europa sono decadute. Tuttavia rimane concreto il rischio di deprezzamento degli immobili che non saranno riusciti a raggiungere la classe E entro il 2033. In altre parole, o si sostengono le spese necessarie per far salire di classe energetica casa propria con i nostri soldi, o la casa in cui viviamo subirà un crollo del proprio valore.

Le previsioni di ANCE

Il testo della Direttiva casa green ha diviso in due le opinioni sulle tempistiche entro cui effettuarla. C’è chi sostiene la necessità di accelerare i tempi della riqualificazione degli edifici e chi invece promuove un approccio più ‘soft’.

In ogni caso l’attuazione un simile disegno presuppone un enorme piano strategico che interessa non solo il settore dell’edilizia, ma l’intera catena del valore che tali interventi richiedono (materiali, impianti, servizi, finanza). In sostanza quello che si dovrebbe creare è un vero e proprio Piano europeo per la neutralità e l’indipendenza energetica che presupponga:

  • adeguate risorse pubbliche,
  • un sistema di finanziamenti accessibili alle famiglie,
  • progetto industriale in grado di ridurre i costi delle forniture e degli interventi 
  • regime fiscale che sappia assecondare la creazione di un polo industriale, italiano ed europeo, capace di diventare un punto di riferimento mondiale dell’efficienza energetica.

Accanto a tutto questo serve anche un sistema efficiente di cessione dei crediti fiscali (anche per percentuali inferiori al 110%). Tale meccanismo infatti non può mettere n discussione, la monetizzazione dei lavori eseguiti, con il risultato di bloccare qualsiasi ulteriore decisione di investimento. Per questo motivo, quello che farà la differenza tra un Piano concreto di miglioramento ambientale e un libro dei sogni è la decisione di Eurostat sui crediti fiscali. Come abbiamo scritto anche qui, vengono considerati come debito pubblico e quindi possono essere spalmati su più anni.

Cosa può fare adesso l’Italia?

Come abbiamo già anticipato, la partita decisiva si combatterà al Consiglio Europeo. Sarà infatti quest’ultimo, nei prossimi mesi, a decidere se vidimare la decisione della Commissione o proporre emendamenti.

Si tratta di una sede di dialogo non ostile all’Italia. Tra l’altro, in questa sede, possiamo anche puntare sulla coerenza tra l’esecutivo in patria e i voti dei partiti al Parlamento Europeo. Finlandia, Spagna e Olanda infatti hanno già mostrato diverse riserve per la direttiva che ritengono eccessivamente precipitosa. C’è quindi spazio per il nostro paese per proporre modifiche alla direttiva “case green”. Ad esempio potremo fare in modo che si allunghino i tempi o modifichino le soglie di esenzione per evitare un disastro industriale.

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Cessione del credito 2023: le regole dopo il Decreto blocca Cessioni

Cessione del credito 2023: il decreto “blocca cessioni” approvato pochi giorni fa stoppa definitivamente le nuove operazioni di cessioni del credito e sconto in fattura. Ecco le nuove regole

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Il dl 11/2023, decreto blocca cessioni, approvato d’urgenza nei giorni scorsi riscrive nuovamente le regole sulla cessione del credito 2023 e sullo sconto in fattura. In sostanza il nuovo decreto apporta delle modifiche sostanziali al vecchio articolo 121 del DL Rilancio.

A farne le spese sono così molti dei bonus fiscali attualmente in vigore per i quali era riconosciuta la possibilità di usufruire dello sconto in fattura in cambio della cessione del credito d’imposta maturato. Niente più Superbonus 110%, Bonus fotovoltaico al 60% o Bonus caldaia.

Ma è davvero così per tutti gli incentivi o ancora è possibile usufruire della cessione del credito 2023 in qualche modo?

Puoi richiedere una nostra consulenza o maggiori informazioni cliccando qui!

Cessione del credito 2023: tutte le modifiche dopo il dl 11/2023 Blocca cessioni

Cessione del credito 2023: tutte le modifiche dopo il dl 11/2023 Blocca cessioni

Cessione del credito 2023, le modifiche del decreto blocca cessioni

I punti principali del decreto cessioni sono i seguenti:

  • stop agli enti locali all’acquisto dei crediti da Superbonus;
  • responsabilità solidale del cessionario;
  • stop alle nuove cessioni del credito e allo sconto in fattura;
  • stop anche al vecchio meccanismo di cessione dei crediti (dl 63/2013).

Di seguito analizziamo brevemente le novità una per una delle nuove regole per la cessione del credito 2023.

Cessione del credito 2023, stop all’acquisto dei crediti per gli enti locali

Regioni e province stavano iniziando a muoversi per provare a sbloccare il mercato dei crediti fiscali del 2023. In questo modo, pensavano di poter in qualche modo contribuire a sbloccare una serie di cantieri sospesi a causa proprio dell’impossibilità di cedere il credito d’imposta in cambio di liquidità e rilanciare il settore edilizio.

Con le nuove regole per la cessione del credito 2023 di fatto il governo introduce un divieto secco per comuni, province e regioni di acquistare crediti derivanti da bonus edilizi.

Stando alle parole della Premier Giorgia Meloni e del ministro dell’economia, questa misura sarebbe necessaria per evitare danni più grossi alle casse dello Stato. Se gli enti pubblici acquistassero questi crediti infatti, lo stato potrebbe rischiare di non avere neanche i fondi per la prossima manovra (ne avevamo parlato anche qui). In particolare, l’art. 1 comma 1 lett. a) prevede che:

ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le pubbliche amministrazioni […] non possono essere cessionari dei crediti di imposta derivanti dall’esercizio delle opzioni di cui al comma 1, lettere a) e b) dell’art. 121.

Responsabilità solidale del cessionario

Il decreto cessioni prova a sbloccare i crediti cosiddetti incagliati perimetrando la responsabilità solidale del cessionario in caso di truffa o dolo introducendo una serie di documenti per l’esonero della responsabilità dei cessionari.

In particolare, l’art. 1 comma 1 lett. b) prevede che il concorso nella violazione e la conseguente responsabilità in solido sono in ogni caso escluse per i cessionari che siano in possesso dei seguenti 9 documenti:

  • titolo edilizio oppure dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà nel caso di edilizia libera, in cui sia indicata la data di inizio dei lavori ed attestata la circostanza che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere rientrano tra quelli agevolabili e non necessitano di titolo;
  • notifica preliminare ASL oppure, nel caso di interventi per i quali tale notifica non è dovuta in base alla normativa vigente, dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che attesti tale circostanza;
  • visura catastale ante operam dell’immobile oggetto degli interventi, oppure, nel caso di immobili non ancora censiti, domanda di accatastamento;
  • fatture, ricevute o altri documenti comprovanti le spese sostenute, nonché documenti attestanti l’avvenuto pagamento delle spese medesime;
  • asseverazioni, quando obbligatorie per legge, dei requisiti tecnici degli interventi e di congruità delle relative spese, corredate da tutti gli allegati previsti dalla legge, rilasciate dai tecnici abilitati, con relative ricevute di presentazione e deposito presso i competenti uffici;
  • delibera condominiale di approvazione dei lavori e relativa tabella di ripartizione delle spese in caso di interventi su parti comuni;
  • nel caso di interventi di efficienza energetica: relazione tecnica (legge 10), APE / APE convenzionale, oppure dichiarazione sostitutiva che attesti la non necessità di tale documentazione;
  • visto di conformità rilasciato dal commercialista;
  • attestazione delle banche o istituti di credito che intervengono nelle cessioni di avvenuta segnalazione delle operazioni sospette (art. 35 dlgs 231/2007) o di astensione (art. 42 dlgs 231/2007).

Le nuove regole per la cessione del credito 2023 prevedono che solo il possesso di questi 9 documenti possa salvare il cessionario in caso di controlli e responsabilità accertate. Resta comunque da sciogliere il nodo del sequestro preventivo del credito.

Stop alle nuove cessioni del credito 2023 e allo sconto in fattura. Quali sono i bonus a farne le spese?

Analizziamo adesso quello che è il vero punto dolente delle nuove regole per la cessione del credito 2023 introdotte dal decreto blocca cessioni. La nuova normativa infatti prevede che dal 17 febbraio non è più possibile procedere con la cessione del credito né con lo sconto in fattura per i seguenti interventi (art. 121 c. 2):

  • recupero del patrimonio edilizio;
  • efficienza energetica;
  • misure antisismiche;
  • recupero o restauro della facciata;
  • installazione di impianti fotovoltaici;
  • colonnine di ricarica.

In altre parole, questo significa che fare le spese del decreto blocca cessioni nel 2023 sono i seguenti bonus:

  • superbonus
  • bonus ristrutturazione;
  • ecobonus;
  • sismabonus;
  • bonus facciate, non più accessibile per il 2023 ma i cui crediti sono ancora in circolazione;
  • detrazione per l’installazione degli impianti fotovoltaici;
  • detrazione per l’installazione delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici;
  • bonus barriere architettoniche

In pratica, questo significa che non è più possibile cedere il credito.

Nulla cambia invece per quanto riguarda bonus verde e bonus mobili per i quali non era cmq prevista la possibilità della cessione del credito.

Divieto di prima cessione di altri crediti fiscali: come funziona per le imprese?

Abbiamo visto come, sempre con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto n. 11/2023, non è più consentita la prima cessione di tutta una serie di crediti d’imposta, istituiti negli ultimi due anni. Abbiamo precedentemente preso in esami i crediti fiscali derivanti dai bonus edilizi. Ma non sono solo questi quelli modificati dalle nuove sulla cessione del credito 2023.

Il Dl blocca cessioni interviene anche sulle prime cessioni dei:

  • bonus energia per le imprese energivore e non, 
  • crediti per il settore della ristorazione, 
  • crediti relativi alla cosiddetta super Ace,
  • bonus concessi a favore delle imprese turistiche e per le agenzie di viaggio.

Restano fuori dalla tagliola introdotta dal comma 4 dell’articolo 2 del dl n. 11/2023 i crediti per i quali, prima del 16 febbraio 2023, sia stato stipulato un contratto di cessione avente data certa.

Quando sarà ancora possibile cedere il credito d’imposta?

Le nuove regole per la cessione del credito 2023 prevedono cmq alcune casistiche per le quali resta comunque possibile optare per questa possibilità. Le elenchiamo qui di seguito:

  • interventi Superbonus diversi da quelli effettuati dai condomìni (in sostanza le unifamiliari) per i quali sia già stata presentata la CILA-S (CILA-S entro il 16 febbraio 2023);
  • interventi effettuati dai condomìni per i quali sia stata adottata la delibera assembleare e risulti presentata la CILA-S (entro il 16 febbraio 2023);
  • interventi di demolizione e ricostruzione per i quali sia stata presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo (entro il 16 febbraio 2023).

Per tutti gli altri bonus invece, vale sempre la regola generale che è possibile cedere il credito solo per le CILAS presentate entro il 16 febbraio.

Cessione del credito, anche le vecchie regole sono abrogate!

A questo punto è lecito chiedersi se sarà più possibile usufruire dello sconto in fattura o cessione del credito secondo le regole previgenti al dl 34/2020. Si perché in realtà, questo meccanismo è stato introdotto ben prima del Decreto Rilancio ma in una delle tante modifiche dal dl 63/2013.

Ad un’attenta analisi del dl 11/2023 si nota che l’art. 2 all’ultimo comma 4 prevede espressamente l’abrogazione anche del vecchio meccanismo di cessione del credito che prevedeva che:

Per le spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica di cui al presente articolo, i soggetti che nell’anno precedente a quello di sostenimento delle spese si trovavano nelle condizioni di cui all’articolo 11, comma 2, e all’articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 5, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (incapienti, ndr) in luogo della detrazione possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, con la facoltà di successiva cessione del credito. Le modalità di attuazione delle disposizioni del presente comma sono definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Viene abrogato anche il punto 3.1. che prevedeva, inoltre, che;

a partire dal 1° gennaio 2020, unicamente per gli interventi di ristrutturazione importante di primo livello di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 26 giugno 2015, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015, […], per le parti comuni degli edifici condominiali, con un importo dei lavori pari o superiore a 200.000 euro, il soggetto avente diritto alle detrazioni può optare, in luogo dell’utilizzo diretto delle stesse, per un contributo di pari ammontare, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e a quest’ultimo rimborsato sotto forma di credito d’imposta da utilizzare esclusivamente in compensazione, in 5 quote annuali di pari importo, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza l’applicazione dei limiti di cui all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Il fornitore che ha effettuato gli interventi ha a sua volta facoltà di cedere il credito d’imposta ai propri fornitori di beni e servizi, con esclusione della possibilità di ulteriori cessioni da parte di questi ultimi. Rimane in ogni caso esclusa la cessione ad istituti di credito e ad intermediari finanziari.

Anche il meccanismo di cessione del sismabonus è abrogato: l’art. 16 comma 1-quinquies. prevedeva che (interventi 75%/85%) che:

qualora gli interventi […] siano realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali, le detrazioni dall’imposta […] spettano, rispettivamente, nella misura del 75% (incremento di una classe di rischio sismico, ndr) e 85% (incremento di 2 o più classi di rischio sismico, ndr). Le predette detrazioni si applicano su un ammontare delle spese non superiore a euro 96.000 moltiplicato per il numero delle unità immobiliari di ciascun edificio. Per tali interventi, a decorrere dal 1º gennaio 2017, in luogo della detrazione i soggetti beneficiari possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, con la facoltà di successiva cessione del credito. Rimane esclusa la cessione ad istituti di credito e ad intermediari finanziari. Le modalità di attuazione del presente comma sono definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Conclusioni

Le nuove regole per la cessione del credito 2023 non fanno altro che complicare ulteriormente il quadro relativo ai bonus fiscali che già il Superbonus aveva complicato enormemente. Alla luce delle ultime novità introdotte orientarsi tra regole ed eccezioni per la cessione del credito e dello sconto in fattura è sempre più complicato. E il futuro del panorama normativo di riferimento, al centro di un forte dibattito, sembra essere destinato a complicarsi ancora di più.

Per il momento, in ogni caso, è sempre possibile usufruire dei bonus sopra elencati. Tuttavia si potrà beneficiarne solo in detrazione in dichiarazione dei redditi o in compensazione (leggi qui per approfondire) come avveniva fino a qualche anno fa.

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Blocco cessione del credito: chi sono i responsabili e perché lo hanno fatto?

Cosa c’è dietro al blocco della cessione del credito d’imposta del Superbonus? Chi è il responsabile di tutto ciò?

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Il tanto temuto stop alla cessione del credito d’imposta relativo ai bonus edilizi è alla fine arrivato tramite il Decreto Legge n. 11 del 16 febbraio 2023. Assieme al blocco della cessione del credito, si fermano anche definitivamente le altre modalità alternative di fruizione dei crediti fiscali, In particolare si fermano anche:

  • lo sconto in fattura, 
  • la possibilità, per le imprese, di fruire del credito d’imposta per il caro bollette.

Saranno salvi in ambito di Super bonus le abitazioni unifamiliari per le quali sia stata presentata la Cilas prima dell’entrata in vigore del provvedimento. Mentre per i condomini si guarderà la data della delibera. Per i lavori diversi dal 110% sarà essenziale avere richiesto il titolo abilitativo o iniziato i lavori prima dell’entrata in vigore del decreto.

Si introduce inoltre il divieto per le pubbliche amministrazioni di essere cessionaria di crediti d’imposta relativi agli incentivi fiscali maturati con tali tipologie di intervento.

Se questi sono in poche parole i punti principali attorno a cui si sviluppa il nuovo Decreto Legge, è altrettanto vero che le conseguenze di tutto ciò non possono archiviarsi in poche parole. Abbiamo quindi cercato di riassumere il più chiaramente possibile le motivazioni che hanno portato il legislatore ad approvare tali misure e le conseguenze che esse potrebbero portare.

E’ vero che il Superbonus costa 2.000 euro per ogni italiano?

Per motivare la scelta di bloccare il meccanismo di cessione dei crediti d’imposta il Ministro Giancarlo Giorgetti ha affermato che il superbonus è costato 2.000 euro per ogni italiano.

Un’affermazione del genere non può non avere delle conseguenze pesanti sull’opinione pubblica. Facendo un rapido calcolo, dal momento che in Italia ci sono 60 milioni di persone, il Superbonus sarebbe costato circa 120 miliardi di euro. In realtà, questa cifra non riguarda solo il Superbonus ma anche e soprattutto tutti gli altri bonus edilizi messi insieme.

Tuttavia, se volessimo comunque considerarla come un’affermazione corretta, sarebbe opportuno considerare tutti gli effetti positivi generati dal Superbonus. Effetti positivi analizzati nelle analisi di Nomisma, Censis, Ance, Centro Studi CNI, Federcepicostruzioni, Cresme e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

Soprattutto dall’ultimo report di Nomisma sarebbe emerso che i 71,8 miliardi euro investiti dallo Stato hanno generato:

  • un impatto economico complessivo sull’economia nazionale pari a 195,2 miliardi di euro di cui:
  • 87,7 miliardi di effetto diretto;
  • 39,6 miliardi di effetti indiretti;
  • 67,8 miliardi di indotto.
  • un risparmio medio in bolletta pari a 964 euro all’anno;
  • un incremento di 641.000 occupati nel settore delle costruzioni e di 351.000 occupati nei settori collegati.

Già nel 2022, l’Associazione Nazionale dei Commercialisti, aveva evidenziato come tramite il Superbonus l’effetto fiscale indotto dagli investimenti correlati al superbonus 110% è pari al 43,3% del costo lordo per lo Stato. In pratica, per ogni euro speso dallo Stato in bonus edilizi, ne ritornano sotto forma di maggiori imposte 43,3 centesimi, così che il costo netto per lo Stato è pari a 56,7 centesimi.

Le stime del Censis invece evidenziano come il gettito fiscale derivante dal Superbonus sia addirittura maggiore. Si stima infatti che possa ripagare circa il 70% della spesa a carico dello Stato per le opere di efficientamento sugli edifici. Ciò significa che 100 euro di spesa per Super ecobonus costerebbero effettivamente allo Stato 30 euro, ridimensionando in questo modo il valore reale del disavanzo generato dall’incentivo.

Dal credito d’imposta alla nascita di una nuova moneta fiscale

Dopo aver analizzato brevemente gli effetti positivi del Superbonus sull’economia, adesso proviamo a capire come mai il legislatore ha deciso per il blocco della cessione del credito d’imposta. Per farlo ricapitoliamo quali sono stati i principali cambiamenti apportati dal Decreto Rilancio.

Dopo l’approvazione di tale normativa in fatti i crediti fiscali hanno letteralmente cambiato funzione. Da una semplice detrazione fiscale (utilizzo in compensazione) sono diventati una vera e propria moneta fiscale. Il credito d’imposta generato dalla fruizione dei bonus edilizi infatti può essere ceduto diverse volte, a valori diversi rispetto al suo reale ammontare, diventando a tutti gli effetti il mezzo di pagamento delle stesse opere che andranno ad accrescere il valore del patrimonio del beneficiario.

Tale Decreto quindi ha avuto il vantaggio di sostenere l’economia e la ripresa su più fronti:

  • ampliamento della platea degli aventi diritto (superbonus anche per coloro che non hanno nel breve periodo imposte o contributi da compensare o si trovano nella cc. dd. “no tax area).
  • beneficiari della detrazione che possono effettuare uno o più interventi edilizi (accrescendo il valore del proprio fabbricato) senza pagare in denaro, o pagare solo in parte, il corrispettivo altrimenti dovuto.
  • sostegno alla domanda di imprese, fornitori e professionisti appartenenti al mondo dell’edilizia e dello sviluppo immobiliare;
  • nascita di un vero e proprio mercato della cessione del credito d’imposta dove si palesano ricavi per gli stessi cessionari che, pronti a liquidare il cedente, offrono prezzi di cessione sempre più accattivanti.

Il blocco della cessione del credito d’imposta è quindi da intendersi come un vero e proprio tentativo del blocco di questo mercato che si è venuto a creare attorno ai crediti fiscali. Ma come mai si è arrivati a tanto?

Blocco dei crediti d’imposta: la fondamentale Differenza tra deficit  e debito pubblico

Prima di proseguire oltre nella nostra analisi delle motivazioni che hanno portato al blocco del mercato dei crediti d’imposta è opportuno chiarire i concetti di deficit e debito pubblico. E’ necessario chiarire questo concetto per un semplice motivo: il credito d’imposta può essere infatti utilizzato in compensazione fiscale. Questo significa sostanzialmente che può essere utilizzato al posto di pagare l’ammontare dovuto di tasse all’Agenzia dell’Entrate. Ciò, genera quindi dei disallineamenti rispetto alle previsioni di incasso dell’erario. Da questo punto, facciamo un passo indietro e spieghiamo brevemente la differenza tra deficit e debito pubblico.

  • Il deficit o disavanzo pubblico è una voce che misura la situazione economica dello Stato di un Paese, per mezzo della differenza tra entrate e uscite in un determinato anno. Per questo è normalmente espresso in termini di percentuale del prodotto interno lordo (PIL) di quello stesso anno. Il deficit pubblico, essendo una differenza, può essere positivo o negativo. Se le spese sono maggiori delle entrate, la differenza (entrate – spese) sarà negativa. Viceversa, se il reddito è maggiore delle spese, la differenza (entrate – spese) sarà positiva. Quando la differenza è negativa si parla di deficit pubblico. Al contrario, quando la differenza è positiva si parla di avanzo pubblico.
  • Il debito pubblico invece è la variabile a cui viene aggiunto o sottratto il deficit o avanzo pubblico anno per anno. Il risultato è il debito pubblico totale.

Alcune considerazioni sulla compensazione dei crediti d’imposta

A questo punto è chiaro come il concetto di debito pubblico sia molto diverso da quello di credito d’imposta. Il debito pubblico infatti non è legato direttamente ai crediti fiscali, motivo per cui il blocco del credito d’imposta non è efficace nel contenimento del debito.

Tuttavia resta pur sempre vero che i crediti d’imposta usati in compensazione possono diminuire le entrate dello stato derivanti dalla riscossione delle tasse. Se diminuiscono le entrate dello stato, il deficit ne risentirà negativamente. Per far luce sulla questione è necessario però ribadire quanto affermato dai chiarimenti di Eurostat che di fatto affermano quanto abbiamo appena espresso.

Chiarimenti di eurostat sulla cessione del credito e debito pubblico: crediti pagabili e non pagabili

Sono arrivati oramai da qualche giorno i primi chiarimenti di Eurostat sui crediti d’imposta del superbonus 110% ovvero subito dopo l’aggiornamento del “Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico” redatto proprio dallo stesso ente.

In particolare, il credito d’imposta generato dal Superbonus non deve essere considerato come debito pubblico. L’impatto della misura ricade invece sul deficit a prescindere che la cessione dei crediti d’imposta possa classificarsi come “pagabile” o “non pagabile”. Si tratta, in altri termini, solo di collocamento temporale della spesa.

Luca Ascoli, direttore statistiche finanza pubblica di Eurostat, in audizione il 14 febbraio in Commissione Finanze e Tesoro del Senato, ha sottolineato che:

“La ‘pagabilita” o la ‘non pagabilita” di un credito non ha alcuna influenza né sul debito dello Stato, né sulla cifra finale totale da imputare come effetto sul deficit negli anni impattati da tale misura, ma solo sul profilo temporale dell’impatto sul deficit nel corso degli anni.

Per quanto riguarda il deficit vorrei sottolineare che l’impatto sul deficit dello Stato a lungo termine è esattamente lo stesso, identico, sia per il credito fiscale ‘pagabile’ che per quello ‘non pagabile’. Ciò che cambia è semplicemente il momento in cui ci sarà un impatto e non l’ammontare totale del costo della misura”.

Sempre secondo il direttore statistiche finanza pubblica di Eurostat, si è parlato di effetto enorme sul debito pubblico, stimato in 110/120 miliardi di euro in maniera impropria. Ciò si è verificato sostanzialmente perché è stato in primis il Direttore Generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Spalletta, a parlarne in maniera impropria. Ovviamente, tale narrazione sensazionalistica, è stata poi ripresa a piene mani dai giornali che hanno contribuito ad alimentare la narrazione del “Superbonus che costa 2000 euro ad ogni italiano” oppure quella del “Superbonus che fa lievitare il debito pubblico”. Ed è anche su questa spinta riportata dai giornali che si è arrivati al blocco della cessione del credito.

Credito fiscale pagabile e non pagabile

Il Manuale spiega anche cosa significa ‘credito fiscale pagabile’ e ‘credito fiscale non pagabile’:

  • il credito di imposta pagabile è quello per cui la spesa da parte dello Stato deve essere riconosciuta all’inizio. In altre parole è quello che nasce al momento dell’attività (avvio lavori edili);
  • il credito di imposta non pagabile è quello che non comporta una spesa immediata da parte dello Stato ma riduce le entrate fiscali dello Stato in futuro.

In Italia sarà l’Istat, entro il 1° marzo prossimo, a mettere nero su bianco le valutazioni del Governo e a quantificare il peso di tali somme per le casse pubbliche.

Stando alle attuali regole contabili quindi gli effetti del Superbonus sull’indebitamento netto si manifestano gradualmente, secondo la tempistica di fruizione dell’agevolazione. Nel biennio 2021-22 il disavanzo ha beneficiato in misura sostanziale delle maggiori entrate connesse con la crescita dell’attività economica nel comparto edilizio. Invece, i costi legati all’utilizzo dei crediti d’imposta maturati si registreranno invece in larga misura negli anni successivi ed è proprio per paura di questi costi che si è arrivati al blocco della cessione del credito.

Perché si è arrivati al blocco della cessione del credito?

Abbiamo quindi scoperto come un credito fiscale non incide mai sul debito pubblico ma solo sul deficit (la cui differenza è enorme). Cerchiamo di chiarire questo concetto con un esempio.

Immaginiamo che lo Stato decida di finanziare il superbonus pagando direttamente gli interventi. Considerato che non ha i soldi per finanziare i 65 miliardi di euro relativi agli investimenti finora ammessi a detrazione, dovrà farseli prestare da qualcuno. In questo caso contrae un prestito che si aggiunge al debito pubblico e sul quale deve pagare anche gli interessi.

Nel caso del Superbonus, però, la situazione è differente perché lo Stato non finanzia direttamente gli interventi ma chiede ai contribuenti di pagarseli per poi detrarli dalle tasse. La quota di superbonus annuale servirà a ridurre le tasse del contribuente in uno specifico anno e, quindi, anche le entrate annuali dello Stato. La possibilità di detrarre il costo dipende, però, dalla capienza fiscale del contribuente. Con la conseguenza che a bilancio la quota utilizzata si potrà conoscere solo dopo che il contribuente stesso l’avrà utilizzata.

Questo significa che cedendo il credito alle banche, saranno le banche ad utilizzarlo in compensazione e quindi per pagare meno tasse. Ma lo stato non potrà conoscere l’ammontare delle entrate a cui dovrebbe rinunciare prima che le banche la utilizzino. Quindi lo stato si troverebbe con disponibilità inferiori di quelle attese e potrebbe non riuscire a far fronte ai debiti contratti.

Ecco il vero motivo del blocco della cessione del credito che a tutti gli effetti assume i connotati di un regolamento di conti fra stato e banche. A farne le spese, come sempre, sono i privati cittadini beneficiari della detrazione e le imprese edili.

Le conseguenze del blocco della cessione del credito

Bloccare la cessione del credito significa innanzitutto consentire l’utilizzo del superbonus solo a chi possiede capacità economica e capienza fiscale, ovvero coloro che economicamente ne hanno meno bisogno.

Ma le conseguenze del blocco della cessione del credito sono devastanti per tutto il comparto edilizio. Come faranno le imprese ad ottenere la liquidità necessaria ad acquistare il materiale per proseguire i cantieri che hanno iniziato o pagare i propri dipendenti? 

Capiamo ovviamente l’esigenza di regolamentare e prevedere la quantità di entrate fiscali a cui lo stato dovrebbe. Ma nel frattempo questi soggetti appena elencati come dovrebbero comportarsi? O meglio, ce la faranno a resistere ancora di più alle pressioni economiche a cui sono sottoposti?

Quello che è certo al momento è solo una cosa. Ogni volta che viene toccato il Superbonus viene sconvolta tutto il comparto economico italiano e tutti cadono nel caos più totale. I nostri politici riusciranno mai a normalizzare questa situazione tanto travagliata? Probabilmente no. Quello che possiamo fare è solo aspettare e far sentire la nostra voce.

 

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